
Dura critica del regista americano al nostro cinema attuale, definito “scadente e privo di idee”. Tutto questo mentre nelle sale italiane esce il nuovo film Grindhouse, omaggio ai B-movies, i film “di serie B” degli anni ’70. Quentin Tarantino: la scheda / il trailer di Grindhouse
di Maria Cristina Locuratolo 17 giugno 2007 22:56
Se qualcuno chiedesse al regista americano Quentin Tarantino, autore di film cult come Pulp Fiction e Kill Bill, cosa ne pensa del cinema italiano di oggi, la risposta sarebbe una sola, netta e inequivocabile: “scadente”. Questo è in effetti il giudizio espresso dal regista, durante il Festival di Cannes appena conclusosi, sulla produzione cinematografica italiana di questi ultimi anni. Un giudizio che - come ovvio - ha suscitato non poche polemiche, soprattutto perché espresso da uno dei più grandi estimatori del cinema italiano del passato.
Tarantino, il più grande fan degli "spaghetti western" e delle commedie italiane anni ’50, ‘60, ‘70, ha infatti ripreso e riformulato in molteplici vie questi generi, rendendoli elementi portanti del suo percorso estetico e stilistico. In ogni suo capolavoro, in ogni sua opera c’è un po’ di cinema italiano. Fa dunque un po’ di impressione che quello che da molti è definito uno dei più grandi registi dei nostri tempi si trovi a constatare con amarezza e nostalgia una situazione precaria per il nostro cinema. Del resto, come dargli torto? La maggior parte dei film italiani rispondono ad esigenze meramente commerciali, sono legati alla pubblicità e alla possibilità (o meno) di essere trasmessi in TV.
Si passa con disinvoltura dal cinepanettone al drammone familiare, dalle storie di trentenni in crisi d’identità ai film dalla comicità insulsa e spesso volgare. Le sceneggiature sono spesso deboli, i veri attori scarseggiano, si prelevano star e starlette dai reality e dalle fiction, il "piccolo schermo" approda al "grande schermo" con risultati incerti. In realtà esiste anche un cinema italiano "di qualità", ma in percentuale senza dubbio minore rispetto al passato; si avverte una certa nostalgia per i tempi d’oro del nostro cinema. Ci mancano Fellini, De Sica, Mastroianni, ci manca "il principe della risata" Antonio De Curtis, in arte Totò. Ci mancano la genuinità e la genialità, la poesia. E a Tarantino probabilmente manca Sergio Leone, uno dei suoi miti ispiratori. Detto questo, è bene specificare che Tarantino non si trovava al festival per criticare il cinema italiano, ma per parlare della sua ultima fatica: Grindhouse-Death Proof, film per il quale il regista statunitense ha tratto ispirazione dal genere dell’"exploitation" cioè dalle pellicole di serie B in cui donne violente lottano per il potere, riproponendoci una vendetta tutta al femminile, sulla scia di Kill Bill.
Inizialmente il film era composto da due episodi distinti, uno dei quali dal titolo Planet Terror, diretto dal regista Robert Rodriguez, ma l’insuccesso registrato ai botteghini statunitensi ha portato i due registi ad una immediata separazione. Sdoppiatosi per le sale cinematografiche europee, Grindhouse ha così perso, in parte, la sua ragion d’essere: il film, infatti, voleva essere un omaggio alle sale cinematografiche americane degli anni ’70, le cosiddette "grindhouses", dove lo spettatore poteva vedere due film, dai contenuti volgari e cruenti, al prezzo di un solo biglietto. Ma a quanto pare il pubblico americano è rimasto fedele ai propri gusti: questa formula da "cinema a basso costo" era disprezzata allora e oggi continua a non raccogliere consensi a distanza di trent’anni.
Il film narra la storia di uno psicopatico stuntman affetto da misoginia, Mike (Kurt Russel), che invita tre allegre scatenate fanciulle sulla sua coupé "a prova di morte". Obiettivo di questo folle, inquietante e losco personaggio è quello di uccidere le ragazze, spaccargli il cranio contro il parabrezza della sua sfrecciante arma letale, terribile macchina della morte con tanto di teschio sul cofano. L’ora della vendetta per il killer stuntman arriva ben presto e si tinge di rosa: quattro ragazze agguerrite decidono di ricambiare il muscoloso misogino con la stessa "moneta", vendicando le vittime della sua Chevrolet.
Il risultato è un film visivamente perfetto, in puro stile tarantiniano; un’avventura vertiginosa tutta al femminile, una assurda storia di omicidi automobilistici, discorsi sboccati e verbosi, sangue e morte. Tarantino omaggia i B-movie, confezionando una pellicola in cui i colori e i salti di fotogramma sembrano quelli di un vecchio film anni’ 70. Esercizi di stile, esplosioni di violenza, sequenze adrenaliniche forse un po’ troppo lunghe con inquadrature "fetish": Grindhouse si configura come un’altra eccellente "prova d’autore", che senza dubbio, nella nuova versione allungata, privata dalla mediocre opera di Rodriguez, entusiasmerà pubblico e critica, a dispetto del flop americano.
E mentre i produttori contano gli incassi di Grindhouse al botteghino, Tarantino pensa già al suo prossimo lavoro: si chiama Inglorious Bastard, il titolo è già un programma, e la storia si rifà, stando a quel che ha affermato il regista, ai vecchi "western all’italiana", la sua unica vera passione. Anche se a volte lo critica, il cinema italiano Tarantino ce l’ha nel cuore, sempre e comunque.