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venerdì 30 novembre 2007

Factory Girl: tutta la verità su Andy Warhol e la sua musa.


La storia della ricca aristocratica Edie Sedgwick, icona pop dell’America anni’60, in un film a metà tra documentario e finzione

di Maria Cristina Locuratolo 30 novembre 2007 11:23

Una “povera piccola ragazza ricca” che divenne una celebrità per poco più dei quindici minuti di fama di cui parlava Andy Wahrol. Una principessa della controcultura americana dai capelli biondo platino e gli occhi marcatamente truccati, incantevole nella sua fragilità, bella e dal fascino glamour, ma destinata ad un declino rapido quanto la sua ascesa. Questo il ritratto, dai contorni un po’ sfumati, di Edie Sedgwick, icona della cultura pop, propostoci dal regista George Hickenlooper, che tra l’altro si avvale di un esclusivo materiale d’archivio per ricostruire la vita di questa “superstar”, come amava definirla il genio Warhol negli anni ’60.

Sienna Miller interpreta questa meteora dello star system: intelligente, carismatica, fuori dal comune, nervosa nei movimenti, profonda nello sguardo, come Edie ha una bellezza anticonvenzionale, è esile, e molto trendy.La città di New York fa da sfondo all’incontro tra Edie e Andy Wahrol (un oscuro Guy Pearce) che affascinato dallo stile e dalla personalità di Edie, la trasforma nella sua musa, trascinandola al centro dell’eccentrico e vibrante mondo della “factory”, la sua fabbrica creativa, il luogo dove l’artista dipingeva, girava film, intratteneva i suoi amici.

Edie diventa con estrema facilità uno di quei falsi miti creati da una cultura “usa e getta”, una dea pop idolatrata e poi presto caduta nel dimenticatoio. Warhol è l’artefice di questo nuovo modo di vedere il mondo, la sua arte non inventa ma re-inventa le cose, trasforma una faccia seria in una serie di facce, una scatola di fagioli o un fustino in un oggetto di culto, sbatte l’America in faccia all’America riproponendo all’infinito i simboli effimeri che la rappresentano, probabilmente per sopperire a quel vuoto di valori e di tradizioni culturali che la distingue dalla vecchia Europa. Ma dietro questi simboli, siano essi lattine di Coca cola o volti umani, c’è un uomo, un artista e le sue idee, idee che rivoluzionano, “eccedono”, veicolano la realtà di un’epoca o di una vicenda umana.

Edie offre tutta se stessa alla “factory” con estrema fiducia ed ingenuità; il suo corpo, il suo volto espressivo e la sua stessa vita diventano un oggetto ad uso e consumo di tutti, proprio come una scatola di Campbell Soup. Il rischio è che la sua anima diventi vuota proprio come quella scatola di latta. Neanche l’amore per la rockstar Bob Dylan, reincarnato perfettamente in Hayden Christensen, (si dice che la canzone Just like a woman parli di Edie) riuscirà a salvarla e ad allontanarla dal mondo di Andy, da cui è totalmente sopraffatta. La droga, l’alcool, il lusso, la fama accecano la piccola star proprio come i milioni di flash che la immortalano continuamente, trasportandola in un baratro senza fine.

Warhol esce malconcio da questo film, che lo ritrae come una “sanguisuga” che costruisce il suo successo sul talento di personaggi stra-ordinari come la Sedgwick che spesso, come in questo caso, hanno avuto una vita difficile segnata da violenze, morte, pazzia.Certo il merito di Warhol è stato quello di essere anni luce avanti con le idee; i suoi film sulla “povera ragazza milionaria” si possono concepire come antenati dei nostri moderni “reality show”, capovolgendone però la finalità, non esistenze comuni rese eccezionali dai riflettori ma esistenze eccezionali esaltate dall’occhio impietoso della cinepresa.

Così Edie che si sveglia, ordina caffè e succo d’arancia, si trucca, si veste, parla al telefono e racconta alla macchina da presa il suo dolore, la sua rabbia e infine la sua miseria, diviene poi un corpo inerme, abusato, deturpato da lividi, su un letto sfatto, una Venere scesa dal suo Olimpo glorioso a cui nessuno restituirà quel sorriso, ossessivamente ritratto, fotografato, filmato, che lei non è nemmeno più in grado di riconoscere. La stella del firmamento di Warhol diventa uno scarto del sistema produttivo sul quale la filosofia pop costruisce le sue basi, Edie Sedgwick “la prima It girl”, è solo una merce di scambio, e come tale si sottopone alle dure leggi del mercato, riciclabile, vendibile e come tale va rimpiazzata con un nuovo prodotto (la nuova musa di Warhol, la chanteuse Nico).

Nonostante questo, Edie resta la prediletta del “genio”, come l’artista pop amava farsi chiamare dalla ragazza; la relazione tra i due tradisce un legame che va oltre il rapporto artistico, carico di emotività e affinità intellettive, per certi versi morboso. La Sedgwick muore a soli ventotto anni a causa di una overdose, dopo una lunga permanenza nella clinica psichiatrica dove ha trascorso l’infanzia, e il suo breve matrimonio con un paziente. Andy ed Edie condividevano oltre al gusto artistico un folle desiderio di fama, probabilmente li accomunava un altrettanto folle paura della morte, a cui solo il ricordo, tanto più se immortalato e ripetuto all’inverosimile, può sopravvivere: “Mi domando se la gente si ricorderà di noi” diceva Warhol alla sua musa, “Quando saremo morti? Sì, credo che la gente parlerà di te e di come hai cambiato il modo di vedere il mondo..” ribatteva lei. “ Mi chiedo cosa diranno di te..” conclude lui. Forse solo che è stata la sua “factory girl”, una “povera piccola ragazza ricca” a cui aveva venduto l’anima in cambio dell’immortalità.

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