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sabato 17 maggio 2008

"Notte brava a Las Vegas": Cameron e Ashton fortunati al gioco come in amore


Il regista Tom Vaughan sceglie la città trasgressiva del Nevada come sfondo per una storia d’amore (e di odio) dalla posta in gioco di tre milioni di dollari.
di Maria Cristina Locuratolo 17 maggio 2008 11:59

Joy (Cameron Diaz) e Jack (Ashton Kutcher) sono due perfetti estranei che hanno caratteri opposti: lei è una broker in carriera, perfezionista e preoccupata sempre di compiacere il prossimo, lui un bambinone che non è in grado di tenersi né una relazione né un lavoro. Entrambi vivono a New York e decidono di rifugiarsi a Las Vegas per qualche giorno per distrarsi e consolarsi dato che ambedue sono stati scaricati. Lei dal fidanzato che stava per sposare, lui dal padre che lo ha licenziato. Afflitti e con la voglia di divertirsi si danno ad una notte senza freni nella città degli eccessi. La serata inizia al tavolo da gioco e prosegue tra champagne, superalcolici e balli scatenati. Termina la mattina seguente, quando scemati i fumi dell’alcool Joy si accorge di essere nel letto di Jack con una fede al dito.

Matrimonio a Las vegas Tra i bagordi e l’euforia notturna infatti è stato pure celebrato il loro matrimonio. E’ vero, “quello che succede a Las Vegas resta a Las Vegas” e un matrimonio “lampo” può facilmente risolversi con un divorzio “lampo”. Ma il destino ci mette lo zampino e complica le cose con una slot machine che fa vincere a Jack ben tre milioni di dollari grazie a Joy che gli ha prestato il suo quarto di dollaro fortunato. Tornati a New York i due novelli sposi milionari si presentano in tribunale per ottenere il divorzio e la ripartizione della vincita, sulla quale entrambi avanzano diritti. Ma un giudice inflessibile che crede nel valore del matrimonio condanna la coppia a sei mesi di dura convivenza in cui si impegneranno a far funzionare la relazione con l’aiuto di una psicoterapeuta, pena il congelamento della vincita ottenuta alla slot machine.

Una commedia romantica "American Style" Notte brava a Las Vegas è una commedia spumeggiante che trasforma una convivenza forzata in una vera e propria guerra senza esclusione di colpi. E questo non solo per l’inevitabile confronto uomo/donna che è già difficile da sostenere quando c’è un sentimento di mezzo ma anche perchè i due protagonisti hanno più che un problema da risolvere con loro stessi. Joy è bloccata emotivamente, non riesce a lasciarsi andare, programma metodica ogni singola azione della giornata, continua a tenere un lavoro che non le piace in cui tuttavia è brillante e porta al dito l’anello del suo ex-fidanzato con il quale non è mai stata felice ma che ha sempre cercato di compiacere perchè non si sentiva all’altezza. Jack è l’eterno Peter Pan, un disordinato cronico nella vita come negli affetti, non riesce a portare a termine un progetto o un rapporto con una donna ma lascia tutto a metà per paura di mettersi in gioco fino in fondo. Tra gag e scene esilaranti il film affronta una delle sfide più difficili del nostro tempo cioè quella di far funzionare una relazione, superando i limiti individuali, educandoci alla tolleranza, al rispetto e al sentimento.

Diaz e Kutcher, perdenti ma vincenti L’energia e la forza espressiva della Diaz travolgono nuovamente lo spettatore ed è senz’altro la sua verve incontenibile a rendere il film frizzante e a trasmettere sul grande schermo la giusta sensazione al momento giusto. Ashton e Cameron sono divertenti e ben assortiti ed in più riescono a dare uno spessore ai loro personaggi, rendendo “Notte brava a Las Vegas” una commedia intelligente che parla di tutto ciò che appartiene alle giovani generazioni odierne: divertimento, leggerezza ma anche paura d’amare, di essere se stessi, di crescere ed affrontare il futuro. Le differenze, le resistenze personali e la reciproca avversione tra i due coniugi vengono esasperate e portate al limite nell’appartamento che saranno costretti a condividere fino a tradursi in un gioco d’amore che li costringe ad essere senza maschere, agguerriti più che mai. E per questo vincenti, in amore come al Jackpot.

domenica 4 maggio 2008

In amore niente regole: glamour e romanticismo per il "bad boy" Clooney


Terza prova dietro la macchina da presa per George Clooney che delizia il suo pubblico con una commedia brillante, nostalgica e a tratti esilarante. Protagonista una Renée Zellweger nei panni di una donna controcorrente che lotta per la libertà d’espressione.

di Maria Cristina Locuratolo 4 maggio 2008 18:43

Con "In amore niente regole", storia ambientata nella Carolina degli anni ’20, Clooney strizza l’occhio, divertito e nostalgico, alla commedia sofisticata della Golden Age hollywoodiana. Come spesso accade, il titolo originale - che in questo caso è "Leatherheads", letteralmente "teste di cuoio", in riferimento al casco usato dai giocatori di football - si addice molto di più al film che, più che alle regole d’amore, allude alle regole del gioco. Il gioco del football, rude e fangoso, che spesso esce da ogni schema e per questo appare "sporco" ma senza dubbio più appassionato e divertente, e quello pericoloso e sottile della verità che tenta faticosamente di sostituirsi all’inganno.

George veste bene i panni dell’eroe sportivo Dodge Connoly, sleale in campo e simpatica canaglia in amore; il suo fascino resta immutato anche quando indossa il baschetto e si rotola nel fango o si butta ubriaco nelle risse tra giocatori nei bar di terz’ordine. Clooney ripercorre la storia del football dagli esordi, quando era ancora "senza regole" e assomigliava più ad una guerra che ad uno sport alla nascita del gioco professionistico con tanto di rigide norme comportamentali e commissario burbero che si impegna a farle osservare, cachet da capogiro, interessi commerciali più che sportivi.

Il triangolo sentimentale che coinvolge Lexie Littleton (Renée Zellweger), giornalista alle prese con un mondo maschile corrotto, Dodge, il protagonista, e il giocatore di football Carter Rutherford (John Krakinski) creduto immeritatamente un eroe di guerra, in realtà è solo un pretesto per affrontare il tema della libertà d’espressione. La bionda Lexie-Zellweger che ricorda la Roxie del pluripremiato “Chicago”, con la sua bellezza retrò è perfetta nel ruolo di una donna degli Anni ’20, indossa con stile deliziosi cappottini rossi e cappelli con le piume di fagiano, si muove sinuosa negli eleganti vestiti d’epoca attirando gli sguardi di chi la circonda; il suo è un personaggio chiave perchè non solo rappresenta la "voce della coscienza" di un’America che troppo facilmente crea falsi miti e rimpiazza la verità con la menzogna, ma è anche l’incarnazione di una donna nuova, che cerca il proprio posto nel mondo, svincolandosi dai ruoli stereotipati di moglie e madre, battendosi contro il pregiudizio maschile e a favore della libertà intesa anche come ricerca della verità.

Il regista Clooney dimostra di essere un esperto conoscitore dei modelli e dei meccanismi narrativi del grande cinema americano del passato, dirigendo con maestria le schermaglie amorose di Dodge e Lexie basate su dialoghi brillanti intrisi di humour raffinato e sguardi complici. George si rifà ai grandi classici e alle grandi star: getta uno sguardo a pellicole come "Scandalo a Filadelfia", in cui una donna è contesa tra due uomini, e "La Signora del Venerdì" dove c’è una cronista di talento ex moglie del direttore, riprendendone atmosfere e suggestioni e si ispira ad attori come Cary Grant e Clark Gable per il suo personaggio, e a dive quali Katharine Hepburn, Miriam Hopkins e Rosalind Russell per il ruolo della Zellweger.

Forse la storia può apparire forzata, costruita, artefatta, a tratti noiosa. Come dire, troppa carne al fuoco; Clooney dirige un film che vuole essere al tempo stesso sentimentale ed ideologico, che ricalca contemporaneamente la "sophisticated comedy" e la "screwball comedy" e trova pure lo spazio per citare le comiche slapstick del cinema muto. In compenso però, l’interesse del pubblico è tenuto in vita dalle battute esilaranti dei due protagonisti e dall’ambientazione dell’epoca ricostruita in modo puntuale. Il fascino remoto del passato coinvolge ogni elemento scenografico, dalle locomotive alle primordiali macchine fotografiche, dalle auto d’epoca ai motorini, per passare agli hotel lussuosi e agli eleganti salotti, fino alle prime macchine per scrivere e ai telefoni neri. La fotografia ad "effetto seppia" è il meccanismo visivo che conferisce un senso di "antichità" alla pellicola ma appare più un vezzo del regista che una effettiva esigenza di realismo.

Il sentimento che pervade il film è dunque un sentimento di nostalgia ed indubbiamente le atmosfere ricreate da Clooney sono perfette e suggestive, ma il regista è ben conscio del fatto che la commedia sofisticata non è più in grado di incidere sulla vita della società americana come un tempo e quindi si limita a riproporre questo genere narrativo per divertire e divertirsi. Pertanto forse sarebbe stato opportuno abbandonare ogni pretesa di battaglia ideologica e concentrarsi sul lato sentimentale e leggero della storia anche perchè il feeling tra i due protagonisti è il vero punto di forza del film. Quando George e Renée inscenano scaramucce tra innamorati, ammiccamenti, sguardi allusivi e complici sembra davvero di rivedere un vecchio film romantico in cui basta un bacio, magari dato in circostanze improbabili, al buio, in un luogo quasi rarefatto, senza dove e senza tempo, avvolto da una luce diafana, a suggellare la promessa di un amore eterno.