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lunedì 31 dicembre 2012

Perché Lanterna Magica?


Perché è lo strumento di precinema più vicino allo spettacolo cinematografico vero e proprio e a me il Cinema, anche nell'era digitale, piace guardarlo, viverlo, pensarlo così: primitivo e magico. Un cinema che conserva la propria "artigianalità" da "bottega delle meraviglie", che ci regala ogni volta uno sguardo nuovo sul mondo. Anzi, sui molteplici mondi possibili. Il cinema è l'estrema sintesi di tutte le arti: pittorica, musicale, teatrale, letteraria. Per questo è stata definita Settima Arte. Quando guardiamo un film ci emozioniamo perché oltre l'immagine, oltre la luce e il movimento, c'è un uomo e la sua idea, una storia che seppur inscritta in un arco temporale, diventando arte si svincola da ogni limite di spazio e tempo, si fa "altro" da sé, si relaziona con lo spettatore, riflette e proietta. Non solo, si rende immortale perché resta impressa sulla pellicola e nella memoria individuale e collettiva.
Scrivere di cinema presuppone una profonda conoscenza dell'arte e dei suoi meccanismi, essere in grado di individuare l'invisibile oltre il visibile, il messaggio, l'idea dietro l'immagine. Il cinema è il sogno di chi in sala al buio resta sempre con gli occhi ben aperti e lo sguardo al di là dello schermo.

martedì 13 settembre 2011

Ricordi di Venezia 68



Che cosa ricorderò di questa 68esima edizione della Mostra Veneziana?

Il sorriso di Zio George, il guizzo di follia negli occhi della splendida Kate Winslet, la luce che emanava Madonna, la cordialità di Viggo mentre mi saluta stringendo la mascotte della sua squadra del cuore, la classe intramontabile di Al Pacino accompagnato dalla sua fatina rossa Jessica Chastain, il saluto rivoltomi da Re Colin in italiano, i sorrisetti complici tra Matt Damon e Gwyneth Paltrow, gli occhi assonnati e lividi post-sbornia di James Franco, la tenera timidezza di Adam Brody, la foto con Michael Fassbender, con in mano la sua Coppa Volpi, ebbro (e non solo di felicità!).

Dei film ricorderò la voce di Al Pacino alias Erode che chiede a Salome di danzare per lui, il volto espressivo di Deanie Yip in A simple life, i sassi della maledizione di Himizu e la folle corsa finale dei due ragazzini, David Bowie che canta Space Oddity in Eva, l'ipocondria post-Contagion, il primo piano di Ryan Gosling, il Freud di Viggo e il suo immancabile sigaro, la New York desolata e struggente di Carey Mulligan e Michael Fassbender, la carneficina tra Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster, John C.Reilly e un malcapitato criceto...

Ricordo il primo giorno con Le Idi di Marzo, quando mi sono accorta di essermi seduta esattamente e casualmente dietro il mio mito, la Signora Paola Jacobbi di Vanity Fair, la donna che vorrei diventare, constatando quanto sia più bella e simpatica dal vivo e quanto si diverta guardando i film (e Ryan Gosling).

Ricordo l'emozione che puntualmente mi dà la Sala Grande, anche ora che è restaurata e appare diversa. Quando ci si alza in piedi ad applaudire il cast io rivedo Tim, Johnny e Helena...la prima volta nel 2007. La prima volta che avevo un pass sfigato e non sapevo nulla delle uscite laterali.

Ricordo solo ciò che mi ha emozionato...e ovviamente il Lido, una dimensione "altra" che mi accoglie ogni anno, da ben cinque anni, con premura e calore.
Ricordo il Bar Maleti e le sue deliziose colazioni, il Billa, il Cinese e "il punto di ritrovo" per eccellenza, La Tavernetta. Qui in questa striscia di terra, attorniata dal mare, sono nate amicizie indissolubili,legami che mi (ci) hanno cambiato la vita. Solo chi ha vissuto almeno una volta il tourbillon di emozioni tutto cinema, stelle, leoni e paillettes concentrati in undici incredibili giorni, può comprendere cosa provo e perché sogno che torni presto Settembre.

Tutto questo sparisce nella foschia pre-autunnale di Venezia, ogni anno verso la metà di settembre. Come fosse una magia. O forse lo è...

sabato 16 luglio 2011

Londra, in migliaia per dire addio a Harry Potter




http://www.filmakersmagazine.it/archives/5866
Dopo dieci anni di magia lo scontro finale tra Harry Potter e Voldemort ha sancito la fine della saga cinematografica più amata dei nostri tempi. Una battaglia a colpi di bacchetta in una decadente Hogwarts che per l’occasione si è trasformata in una fortezza invincibile.
«Harry aveva un viso sottile, ginocchia nodose, capelli neri e occhi verde chiaro. Portava un paio di occhiali rotondi, tenuti insieme con un sacco di nastro adesivo per tutte le volte che Dudley lo aveva preso a pugni sul naso. L’unica cosa che a Harry piaceva del proprio aspetto era una cicatrice molto sottile sulla fronte, che aveva la forma di una saetta».

Per farsi un’idea di quello che il maghetto mingherlino e occhialuto, partorito dalla mente geniale di J.K. Rowling, ha significato e significa per l’Inghilterra e per il mondo intero, bisognava trovarsi a Trafalgar Square in occasione della prima mondiale. Una schiera infinita e variegata di fans giunti da ogni dove per salutare Harry e i suoi inseparabili amici (e nemici).

Hanno campeggiato per giorni e notti da Trafalgar, la piazza più importante di Londra per la prima volta aperta a una prima cinematografica, a Leicester Square, sede del celebre cinema Odeon dove ha avuto luogo l’ultimo atto della saga potteriana.

Quella folla gremita ed emozionata cantava gioiosamente odi e inni in onore dei loro beniamini sotto ogni sorta di intemperie, quasi fosse una celebrazione religiosa. Testimone il cielo uggioso di Londra, con il Big Ben che scompariva nella foschia di un giorno speciale. Al di là dei numeri, seppur da capogiro, oltre 400 milioni di copie vendute tradotte in 69 lingue, otto adattamenti cinematografici con un record di incassi di oltre 6 milioni di dollari, questa è la vera magia.

Che una donna allora sconosciuta abbia smosso, con la sua fantasia con il suo talento creativo, il mondo intero, popoli di culture ed età differenti, in nome di una storia nata sulla carta e diventata di celluloide, ha dello straordinario e forse dell’irripetibile.

In Inghilterra Harry Potter è un credo, un culto, un’istituzione. E non esagero se dico che per molti la Rowling è la nuova Regina. Il fenomeno della Pottermania, per molti versi resta misterioso e incredibile, ma di sicuro sta in primis nell’abilità di una scrittrice che ha saputo intersecare il nostro mondo, quello dei “babbani” per intenderci, con un universo magico dove coabitano incanto e disincanto, forza e paura, ombre e luci. I personaggi non restano legati, come solitamente avviene nelle comuni storie fantasy, all’età dell’innocenza e dell’infanzia, ma crescono, diventano adulti con tutto quello che comporta “essere grandi” in un mondo dove magia non è solo potere. La Rowling ci ha dimostrato che verità e fantasia possono coesistere, che l’immaginazione non è una bugia o un’escamotage per eludere dalla realtà, ma piuttosto un altro modo di vedere il mondo, uno sguardo che sa cogliere anche l’invisibile, un pensiero divergente che ci fa scoprire abilità segrete e tuttavia ci riporta all’ordine e richiama in noi la coscienza, l’importanza delle nostre scelte.

Ron, Hermione, tutti i personaggi di Hogwarts e infine la Rowling con la sua “creatura” Harry si alternano sul palco a Trafalgar Square, ai limiti della commozione. Il piccolo Potter ha cambiato radicalmente le loro vite, li ha fatti crescere su un set che è diventato una seconda casa, una vera famiglia.

La splendida Emma Watson, ormai icona dello stile in Gran Bretagna, appare regale e magica in un abito principesco firmato Oscar de La Renta. Emozionata dice addio alla sua Hermione che considera parte di lei e che per molti versi, dichiara, le somiglia. Dell’esperienza ricorderà tutto, in particolare, le torture inflitte dalla perfida Bellatrix alias Helena Bonham Carter. Il “rosso” Rupert Grint, amico del cuore di Harry, ammette di sentirsi perso senza Ron.

L’addio a Harry e company viene suggellato dall’abbraccio della Rowling a Daniel Radcliffe, incarnazione della sua creatura di carta, con una promessa della stessa scrittrice che lascia una speranza nel cuore di milioni di fans: «è il mio bambino e se voglio farlo uscire di nuovo a giocare, lo farò».

Anche se la tagline della locandina di Harry Potter e i doni della morte – Parte 2 (in sala in Italia dal 13/07) recita perentoria “It all ends”, quando c’è di mezzo la magia… è sempre tutto da vedere

Johnny Depp: due nuovi progetti Disney



http://www.doppioschermo.it/ultime-notizie/johnny-depp-accordo-con-la-disney-per-altri-due-film.html

Johnny Depp e la casa di produzione Infinitum Nihil, fondata in collaborazione con Christie Dembrowski, sorella dell’attore, ha concluso un accordo con la Disney per due nuovi film di cui ovviamente sarà protagonista. Il primo riguarda una versione cinematografica di The Night Stalker e un biopic dedicato a Paul Revere, patriota americano di cui si ricorda una memorabile cavalcata notturna nel 1775 per avvertire i suoi capi dell’arrivo delle truppe inglesi. The night stalker, invece, si rifà ad una vecchia serie televisiva del 1972 di cui fu fatto un remake qualche anno fa per la ABC, che si rivelò un flop. Depp ha regalato alla Disney un personaggio che è già leggenda, il Capitan Jack Sparrow, lo stralunato protagonista della saga plurimilionaria Pirati dei Caraibi. Al momento l’eclettico attore è impegnato sul set londinese di Dark Shadow, pellicola dalle atmosfere gotiche diretta dall’amico Tim Burton, che riprende una soap opera americana di vampiri, molto in voga negli anni ’60. Subito dopo Johnny sarà impegnato in un nuovo progetto disneyano The Lone Ranger diretto da Gore Verbinski in cui l’attore vestirà i panni dell’indiano Tonto.

mercoledì 4 maggio 2011

Edward compie 20 anni: l’omaggio del mondo dell’arte in una mostra-tributo


A vent’anni dal cult movie di Tim Burton, Edward mani di forbice, l’artista Sebastien Mesnard ha organizzato una mostra dedicata al film alla Nucleus Art Gallery di Alahmabra, California. Cinquanta artisti internazionali ricordano in dipinti, disegni, sculture e stampe la fiaba gotica burtoniana e i suoi indimenticabili personaggi. Il tributo è dedicato alla memoria dell’attore Vincent Price e del truccatore Stan Winston

di Cristina Locuratolo
cristina.elle@hotmail.it

Prima che lui arrivasse non si era mai vista la neve. A noi piace pensarlo così: in un antico maniero gotico circondato dal giardino segreto delle sue creazioni. Mentre con il ghiaccio modella sculture di una bellezza commuovente imbiancando le città di un candore magico. E ogni volta, come un miracolo che si rinnova, lui rivede la sua amata danzare tra quei fiocchi di neve.
Era il 1990 quando un allora meno noto Tim Burton partoriva la sua opera più personale: “un ragazzo con forbici per mani” che racchiude in sé tutta la malinconia e la solitudine di esseri straordinari e diversi, da Frankenstein, vero leit motiv della poetica burtoniana al mito germanico Struwwelpeter, fino al nostro Pinocchio. Edward Scissorhands, come tutte le creature leggendarie, supera brillantemente la dura prova a cui il tempo sottopone tutti, non sbiadisce ma acquisisce nuova forza nel ricordo.

A distanza di venti anni Edward ritorna alle sue origini: non tutti sanno che Burton concepì la sua creatura prima graficamente e poi come soggetto cinematografico, passando da un’immagine puramente visiva alla pellicola. L’idea di Edward, di questo uomo–collage, fatto di pezzi assemblati, sia in senso fisico che emotivo, prese vita nel corpo di Johnny Depp per poi diventare icona e ritornare a essere pura immagine.
Le forbici, simbolo dell’incapacità di comunicare, di “toccare” le cose, di amare senza ferire, vengono reinterpretate attraverso lo sguardo e la creatività di artisti contemporanei di provenienze diverse che rendono omaggio a Edward in una mostra-tributo alla Nucleus Art gallery di Alahmabra (California, fino al 9 maggio 2011), organizzata da Sebastien Mesnard. Ho contattato personalmente gli artisti per parlare di questo progetto, del film e del ritorno di Edward all’immagine.

Alina Chau, Clément Lefèvre, Jérémie Fleury, Laura Iorio, Roberto Ricci, Rozenn Bothuon, Nicolas Duffaut sono alcune delle menti creative che hanno preso parte a questa grandiosa opera omaggio. Una varietà di stili in un caleidoscopio di colori, emozioni, ricordi e suggestioni esprimono la bellezza e la contraddittorietà di Edward, la tragicità dell’esserci in un mondo estraneo, la malinconia e la poesia di un amore impossibile, la non corrispondenza tra la propria esteriorità e interiorità, l’incompletezza e la mancanza, il senso di inadeguatezza, la magia di un altrove impalpabile dove i sogni restano intatti e inalterati. Da Kandisky ai manga giapponesi, da Chagall alla Pop Art, l’opera omaggio pullula di richiami, rimandi, simboli attraverso scelte pittoriche differenti.


Alina ha scelto di rappresentare il giardino di Edward perché esso – dice – è come uno specchio, riflette l’interiorità del personaggio e per questo, a suo parere, è l’elemento più poetico del film. Il giardino è anche uno spazio senza tempo, un non luogo che riporta Alina ai ricordi dell’infanzia.
Nicolas sin da piccolo era attratto dal mondo gotico e dalle sue figure dark. Ha scelto di raffigurare l’amore impossibile tra Edward e Kim, concentrandosi sul momento della separazione e sull’oggetto emblema della loro relazione: la sfera di neve. Sulle note della celestiale colonna sonora di Danny Elfmann, l’artista ha concepito un’opera simbolica sull’immortalità del vero amore.

Rozenn si è concentrata sulle forbici, le ha inserite in un contesto che rimanda all’infanzia creando delle Paperdolls di Edward e Kim. Le piaceva l’idea che i personaggi prendessero vita dalla carta, sottolineando il legame con lo stesso Edward che in una scena del film crea una ghirlanda di carta. Le forbici di Edward hanno una funzione creativa e non distruttiva, a ferirci è l’intolleranza, la malevolenza e l’egoismo della gente del villaggio che rappresenta il mondo in generale.

Laura, grande fan dell’opera di Burton che considera un Maestro, ha voluto descrivere un attimo di complicità tra Edward e la sua amata, dove i due sono felici, anche se negli occhi di lui alberga sempre la tristezza di chi sa che è diverso e non potrà vivere una vita normale.
Una scena romantica che racchiude il senso di un amore profondo e poetico ma sempre attraversato da una vena di malinconia. Lo sguardo innocente e insicuro di Edward riporta anche Laura ai tempi dell’infanzia, quando era una bambina solitaria e introversa che guardava il mondo dal suo piccolo angolo sicuro.

Roberto è sempre stato affascinato dal lato freak di Edward. Un “mostro” più umano degli umani che lo temono. Nella sua opera, da un lato ha voluto rappresentare le origini di Edward, la sua creazione, quindi i robot e la catena di montaggio, elementi ricorrenti nella filmografia burtoniana. Dall’altro, invece, ha descritto il personaggio in sé e la sua poesia, un essere privato dell’amore paterno che tiene stretto tra le sue strane mani il cuore di biscotto, simbolo dell’affetto che sempre lo legherà al suo padre-creatore.

Tutti gli artisti hanno ritrovato in Edward una parte di loro stessi, quella più intima e delicata che riporta alla purezza, all’innocenza, allo stupore e all’amore incondizionato di quando si è bambini. A riprova del fatto che l’opera burtoniana riesce a catapultarci ogni volta in una dimensione altra, tra memoria e immaginazione, sogno e realtà, aprendosi a una miriade di possibilità di interpretazione e rielaborazione. Ogni opera ha saputo restituire vitalità a un personaggio entrato di diritto nell’immaginario collettivo grazie alla sua straordinaria bellezza ed umanità, reinventandolo ma lasciandolo ancorato al suo mondo perso nel tempo e nello spazio della proiezione cinematografica.

giovedì 17 marzo 2011

Nightmare Before Christmas: Un incubo di plastilina


Nightmare Before Christmas è un film-cartoon realizzato in stop-motion, la cosidetta tecnica "a passo uno". Pur non essendo stato girato da Tim Burton ma da un suo collega, Henry Selick, la pellicola è un vero è proprio manifesto artistico della poetica burtoniana. Il mondo dark e goticheggiante di Halloweentown popolato da mostriciattoli ed esseri orribilanti di ogni sorta si confronta con quello colorato e allegro di Christmastown abitato da gnomi e folletti operosi. Il segreto del Natale ci viene così svelato tramite la magia di due universi paralleli, magia che si presenta sotto forma di musical. Le canzoni composte da Danny Elfmann compenetrano la storia, ne sono parte integrante. Un carosello di spettri si presenta ai nostri occhi in danze macabre attraversate da dubbi amletici,sentimenti d'amore, riflessioni sulla vita e sulla morte. Un incubo romantico come un sogno, adatto a tutti, una fiaba postmoderna da raccontare, non solo a Natale.

venerdì 4 marzo 2011

RANGO



Un piccolo eroe western dalla “pellaccia” dura e multicromatica con la voce e il fascino di Johnny Depp. Geniale rivisitazione del regista Gore Verbinski del genere western in chiave cartoonistica. Imperdibile.


Una piccola lucertola vive come un animale domestico tra le pareti di vetro di un terrario, ha per fidanzata una Barbie menomata e come “coperta di Linus” un pesciolino giocattolo. Assillato da dubbi amletici e crisi d’identità, si trova letteralmente scaraventato nell’arido deserto del Majave, dove vaga fino al selvaggio West: Dirt, un cittadina polverosa e piena di guai. La città è in declino per via della mancanza di acqua e i suoi abitanti hanno bisogno di credere in qualcosa, un miracolo o un eroe che possa risollevare le loro tristi sorti.

La lucertola dà sfogo alla sua camaleontica natura e alle velleità attoriali e si reinventa, fingendosi un leggendario avventuriero dal grilletto facile e il cuore coraggioso: Rango.

Gore Verbinski inaugura una formula vincente che coniuga un genere “duro” come il western ai cartoon tradizionali: nella caratterizzazione di Rango c’è lo zampino del “camaleontico” Johnny Depp a cui il regista si è ispirato per creare il personaggio. Molte le analogie tra Rango e Depp: entrambi sono spiriti liberi, sono attori che amano interpretare ruoli grandiosi e forse ambedue non sono del tutto sicuri di essere quello che sono, avendo a disposizione molteplici facce e anime.

Guardando il verde eroe si può facilmente riconoscere la famosa “allure” di Jack Sparrow, pirata disneyano che ha segnato il sodalizio artistico tra Depp e il regista. E i più attenti noteranno una citazione di Paura e Delirio a Las Vegas in una scena del film, ma se vogliamo anche nell’idea di un viaggio spirituale tra realtà e allucinazione.

Una vasta gamma di personaggi avanza, ognuno con la propria storia, nella cittadina cadente dando ad essa un respiro reale e un senso di eternità, come se Dirt esistesse da sempre e, nel contempo, potesse cessare di esistere all’improvviso per la mancanza di un bene così vitale come l’acqua.

Oltre Rango c’è Borlotta (Isla Fisher), la lucertola che si blocca nei momenti meno opportuni, Priscilla (Abigail Breslin) la piccola topina dispettosa, Carcassa (Alfred Molina), l’armadillo che diventa la guida spirituale del protagonista, il Sindaco corrotto con le sembianze da tartaruga (Ned Beatty), solo per citarne alcuni. Colpo di genio: i quattro gufi mariachi che cantano le gesta dell’eroe, annunciandone erroneamente più volte la morte.


Rango è un personaggio che mette d’accordo grandi e piccini, non si può non amare perché è un mix di assurdità: goffo e leggendario, sotto la pelle di lucertola sembra avere un cuore umano.

C’è un’energia vibrante in questo film che pur rispettando pienamente i codici del genere western alla John Ford e dell’animazione classica tra gag e inseguimenti alla Looney Tunes, spazia tra la slapstick comedy al romanticismo, dalla comicità all’umorismo più sofisticato.

La magia di Rango non scaturisce solo nella storia, nei personaggi ben assortiti o nell’ambientazione, ma risiede gran parte nella tecnica utilizzata.

Verbinski parla di “emotion capture”, un esperimento che ha trasformato il set in un grande laboratorio teatrale dove di fatto ogni attore recitava con il costume di scena, simulando le azioni dei personaggi del cartoon, consentendo così al regista di catturare il naturale sentimento della recitazione attraverso lo sguardo, il corpo, la mimica e la gestualità di ogni componente del cast per poi trasferirlo nei personaggi animati.

La dimensione del viaggio di Rango è epica e spirituale: il camaleonte salva la città e ritrova se stesso e il suo posto nel mondo, da outsider diviene leggenda. Il deserto come metafora della vita: un affascinante luogo di pericolo, di introspezione e di esplorazione in cui bisogna perdersi per ritrovarsi, per rispondere alla fatidica domanda esistenziale “Chi sono io?”. Ad una metamorfosi corporale, la mutevolezza cromatica della pelle di un camaleonte, corrisponde un rinnovamento spirituale.

Le carte vincenti di Rango sono tante, ma forse l’asso nella manica è proprio la gioiosa scoperta con cui si conclude: proprio perché si può essere qualsiasi cosa, si sceglie di essere quello che si è, scoprendo magari di avere la “pelle” di un eroe.