
A vent’anni dal cult movie di Tim Burton, Edward mani di forbice, l’artista Sebastien Mesnard ha organizzato una mostra dedicata al film alla Nucleus Art Gallery di Alahmabra, California. Cinquanta artisti internazionali ricordano in dipinti, disegni, sculture e stampe la fiaba gotica burtoniana e i suoi indimenticabili personaggi. Il tributo è dedicato alla memoria dell’attore Vincent Price e del truccatore Stan Winston
di Cristina Locuratolo
cristina.elle@hotmail.it
Prima che lui arrivasse non si era mai vista la neve. A noi piace pensarlo così: in un antico maniero gotico circondato dal giardino segreto delle sue creazioni. Mentre con il ghiaccio modella sculture di una bellezza commuovente imbiancando le città di un candore magico. E ogni volta, come un miracolo che si rinnova, lui rivede la sua amata danzare tra quei fiocchi di neve.
Era il 1990 quando un allora meno noto Tim Burton partoriva la sua opera più personale: “un ragazzo con forbici per mani” che racchiude in sé tutta la malinconia e la solitudine di esseri straordinari e diversi, da Frankenstein, vero leit motiv della poetica burtoniana al mito germanico Struwwelpeter, fino al nostro Pinocchio. Edward Scissorhands, come tutte le creature leggendarie, supera brillantemente la dura prova a cui il tempo sottopone tutti, non sbiadisce ma acquisisce nuova forza nel ricordo.
A distanza di venti anni Edward ritorna alle sue origini: non tutti sanno che Burton concepì la sua creatura prima graficamente e poi come soggetto cinematografico, passando da un’immagine puramente visiva alla pellicola. L’idea di Edward, di questo uomo–collage, fatto di pezzi assemblati, sia in senso fisico che emotivo, prese vita nel corpo di Johnny Depp per poi diventare icona e ritornare a essere pura immagine.
Le forbici, simbolo dell’incapacità di comunicare, di “toccare” le cose, di amare senza ferire, vengono reinterpretate attraverso lo sguardo e la creatività di artisti contemporanei di provenienze diverse che rendono omaggio a Edward in una mostra-tributo alla Nucleus Art gallery di Alahmabra (California, fino al 9 maggio 2011), organizzata da Sebastien Mesnard. Ho contattato personalmente gli artisti per parlare di questo progetto, del film e del ritorno di Edward all’immagine.
Alina Chau, Clément Lefèvre, Jérémie Fleury, Laura Iorio, Roberto Ricci, Rozenn Bothuon, Nicolas Duffaut sono alcune delle menti creative che hanno preso parte a questa grandiosa opera omaggio. Una varietà di stili in un caleidoscopio di colori, emozioni, ricordi e suggestioni esprimono la bellezza e la contraddittorietà di Edward, la tragicità dell’esserci in un mondo estraneo, la malinconia e la poesia di un amore impossibile, la non corrispondenza tra la propria esteriorità e interiorità, l’incompletezza e la mancanza, il senso di inadeguatezza, la magia di un altrove impalpabile dove i sogni restano intatti e inalterati. Da Kandisky ai manga giapponesi, da Chagall alla Pop Art, l’opera omaggio pullula di richiami, rimandi, simboli attraverso scelte pittoriche differenti.
Alina ha scelto di rappresentare il giardino di Edward perché esso – dice – è come uno specchio, riflette l’interiorità del personaggio e per questo, a suo parere, è l’elemento più poetico del film. Il giardino è anche uno spazio senza tempo, un non luogo che riporta Alina ai ricordi dell’infanzia.
Nicolas sin da piccolo era attratto dal mondo gotico e dalle sue figure dark. Ha scelto di raffigurare l’amore impossibile tra Edward e Kim, concentrandosi sul momento della separazione e sull’oggetto emblema della loro relazione: la sfera di neve. Sulle note della celestiale colonna sonora di Danny Elfmann, l’artista ha concepito un’opera simbolica sull’immortalità del vero amore.
Rozenn si è concentrata sulle forbici, le ha inserite in un contesto che rimanda all’infanzia creando delle Paperdolls di Edward e Kim. Le piaceva l’idea che i personaggi prendessero vita dalla carta, sottolineando il legame con lo stesso Edward che in una scena del film crea una ghirlanda di carta. Le forbici di Edward hanno una funzione creativa e non distruttiva, a ferirci è l’intolleranza, la malevolenza e l’egoismo della gente del villaggio che rappresenta il mondo in generale.
Laura, grande fan dell’opera di Burton che considera un Maestro, ha voluto descrivere un attimo di complicità tra Edward e la sua amata, dove i due sono felici, anche se negli occhi di lui alberga sempre la tristezza di chi sa che è diverso e non potrà vivere una vita normale.
Una scena romantica che racchiude il senso di un amore profondo e poetico ma sempre attraversato da una vena di malinconia. Lo sguardo innocente e insicuro di Edward riporta anche Laura ai tempi dell’infanzia, quando era una bambina solitaria e introversa che guardava il mondo dal suo piccolo angolo sicuro.
Roberto è sempre stato affascinato dal lato freak di Edward. Un “mostro” più umano degli umani che lo temono. Nella sua opera, da un lato ha voluto rappresentare le origini di Edward, la sua creazione, quindi i robot e la catena di montaggio, elementi ricorrenti nella filmografia burtoniana. Dall’altro, invece, ha descritto il personaggio in sé e la sua poesia, un essere privato dell’amore paterno che tiene stretto tra le sue strane mani il cuore di biscotto, simbolo dell’affetto che sempre lo legherà al suo padre-creatore.
Tutti gli artisti hanno ritrovato in Edward una parte di loro stessi, quella più intima e delicata che riporta alla purezza, all’innocenza, allo stupore e all’amore incondizionato di quando si è bambini. A riprova del fatto che l’opera burtoniana riesce a catapultarci ogni volta in una dimensione altra, tra memoria e immaginazione, sogno e realtà, aprendosi a una miriade di possibilità di interpretazione e rielaborazione. Ogni opera ha saputo restituire vitalità a un personaggio entrato di diritto nell’immaginario collettivo grazie alla sua straordinaria bellezza ed umanità, reinventandolo ma lasciandolo ancorato al suo mondo perso nel tempo e nello spazio della proiezione cinematografica.