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venerdì 14 novembre 2008

Incontro con Juan Antonio Bayona


Una piccola produzione che porta il nome di Guillermo del Toro, già divenuta un "cult" in Spagna; "The Orphanage" è un film, in arrivo in Italia ma già vincitore di ben 7 Premi Goya e candidato agli Oscar 2008 tra i migliori film stranieri. Il regista Juan Antonio Bayona è giunto a Roma, alla Casa del Cinema, per presentare la pellicola alla stampa italiana, regalandoci un prezioso "gioiello" d'autore che riconferma la vitalità ed il talento dei cineasti spagnoli.

Il suo film prosegue la tradizione dei film horror spagnoli. Quali sono stati i suoi punti di riferimento?
Juan Antonio Bayona: Sicuramente i due film di Narciso IbáHez Serrador "¿Quién puede matar un niño?" ("Come si può uccidere un bambino?") e sopratutto "La Residencia" ("Gli orrori del liceo femminile") sono state grandi fonti di ispirazione. Già dal titolo del mio film si capisce come quest'ultimo sia stato un punto di riferimento per me. Altri film che mi hanno ispirato sono stati "The Others" di Alejandro Aménabar e "Lo spirito dell'alveare" di Victor Erice, un'opera che parla di fantasmi solo indirettamente e visivamente molto illuminante. Inoltre "The Orphanage" trae spunto anche dai film che vedevo da bambino, che non erano propriamente horror ma più film politici che a me ispiravano un gran terrore. Se dovessi scegliere sicuramente rifarei "La Residencia", un film del 1969 che ha di gran lunga precorso i tempi, per la sceneggiatura e le ambientazioni.
C'è una grande vitalità del cinema spagnolo di genere degli ultimi tempi. A cosa è dovuto secondo lei?
Juan Antonio Bayona: Credo che attualmente in Europa, in generale, si stia facendo il miglior cinema fantasy ed horror del mondo. Il cinema americano è caratterizzato da grandi produzioni che non sempre si rivelano di alta qualità.Il cinema europeo è più interessante perchè è più trasgressivo perchè sa uscire fuori dai limiti di una categoria. I registi europei hanno più libertà creativa mentre in America hanno paura di sperimentare.
Come è nata la collaborazione con Guillermo Del Toro?
Juan Antonio Bayona: Ho conosciuto Guillermo circa quindici anni fa, al Festival di Sitges, quando ero ancora più basso ed ero minorenne. Mi finsi giornalista e lo intervistai. A lui piacque molto la mia intervista e restammo in contatto. Quando frequentavo la scuola di cinema gli inviavo i miei lavori e lui non esitava a darmi ogni volta il suo parere. Quando gli ho sottoposto questa sceneggiatura, lui rimase entusiasta tanto da non limitarsi a produrre il film ma a presentarlo anche.
Lo stile del suo film è classico quasi barocco. E' stata una scelta studiata?
Juan Antonio Bayona: La scelta dello stile per me non è una cosa pianificata, ma dipende dall'istinto. Per me conta il lavoro della macchina da presa, scrivo una sceneggiatura pensando per immagini. Molto importante per me è stata l'influenza dei film di Hitchcock, la loro suspence. Penso che una storia vada raccontata in modo classico puntando molto sul montaggio.
,La maschera di Tómas, il personaggio emblema del film, ricorda con la sua maschera di pezzi cuciti insieme un pò qualche personaggio burtoniano, un pò le maschere messicane. Vi è una simbologia dietro o è stata una scelta casuale?
Juan Antonio Bayona: Nel film tutti i personaggi hanno un lato oscuro. Tómas rappresenta il lato oscuro di Simon, mentre Laura è il riflesso positivo di Benigna, l'assistente sociale che lavorava nell'orfanatrofio. La casa stessa è un personaggio. La mascherà è stata una scelta logica, uno stratagemma ingenuo di una madre disperata, Benigna, che la usa per nascondere la deformazione del figlio, un modo di donare un sorriso a un bimbo dal volto deformato.
Come ha detto, una notevole importanza hanno i luoghi fisici nel film. Cosa rappresenta la casa?
Juan Antonio Bayona: La casa più che un personaggio è uno stato mentale dal quale Laura, la protagonista, non vuole distaccarsi perché per lei quella casa rappresenta un'infanzia idealizzata, una fuga dal mondo degli adulti e dalle responsabilità. Laura è un personaggio infantile che non sa rapportarsi con l'età adulta. Il riferimento è chiaramente alla fiaba di Peter Pan che viene citata nel film. D'altro canto Laura è anche una donna molto coraggiosa, perché alla fine decide di restare in quella casa da sola. La ricerca della felicità per lei significa un ritorno a quell'infanzia idealizzata che è incarnata dalla casa.
Perché ha scelto Bélen Rueda nel ruolo di Laura?
Juan Antonio Bayona: Conoscevo Bélen perchè l'ho vista in un lavoro televisivo. Ha interpretato il cortometraggio di un mio amico e naturalmente l'ho ammirata in "Mare dentro" di Aménabar, riferimento per me importante. Quindi la scelta di Bélen è stata un po' la chiusura di un cerchio e devo dire che sono stato ampiamente ripagato perchè si è rivelata un'artista magnifica, la scelta migliore per il film. Si è impegnata al massimo e ha dato molto più di quanto mi sarei aspettato.
Perché ha deciso di circondarsi di tecnici e sceneggiatori alla prima esperienza?
Juan Antonio Bayona: E' vero "The Orphanage" non è solo il mio primo film, è anche il primo film per lo sceneggiatore, il direttore della fotografia, il compositore, il montatore...tutte persone con cui ho lavorato fin da quando giravo spot e corti. E' stata una fortuna che i produttori abbiano accettato la proposta di coinvolgerli nel film perché questo ha portato un'inedita freschezza al lavoro.
Alla luce del successo internazionale di questo film, quali proposte sta valutando?
Attualmente ho un paio di progetti in via di sviluppo. Uno prevede ancora la collaborazione con Guillermo Del Toro e sarà prodotto dalla Universal. La storia parla di un'epidemia di paura negli Stati Uniti in risposta al panico diffuso nella popolazione da parte del governo. Un altro progetto sarà invece realizzato in Spagna perché ho intenzione di muovermi su entrambi i mercati, europeo e americano, dato che sono molto legato al mio Paese.

"The orphanage": L'eco dei ricordi


Prima prova eccellente del regista Juan Antonio Bayona; un film, a metà tra horror e dramma, sapientemente misurato nei tempi.
Valutazione:
Venerdì 14 novembre 2008
Già dai titoli di apertura il film introduce lo spettatore a quello che sarà il perno su cui ruota l'intera vicenda; lo strappo con cui si presentano i titoli di testa sta ad indicare quell'irreparabile "strappo" emotivo ed affettivo vissuto dai personaggi, il trauma della separazione da un passato che si credeva idilliaco o da qualcosa di caro che potrebbe venire a mancare in futuro.
Bayona usa abilmente tutti i simboli e gli oggetti classici del genere: presenze oscure, case stregate, bambini e bambole, sogno e follia... "The Orphanage" risente dell'influenza di grandi capolavori come "The Others" di Aménabar e altri film di autori ispanici, pur mantenendo un'identità propria, una sua originalità. Il regista ha misura e senso del ritmo e dell'inquadratura, dosa bene pause e silenzi, punta sul sonoro per creare mistero e suspence.
La pellicola non è semplicemente un horror; ben lontana dalle produzioni hollywoodiane che si affidano molto agli effetti speciali, mostra un insolito spessore psicologico che gli conferisce delle sfumature melodrammatiche. Il terrore non scaturisce da qualcosa di stra-ordinario ma dai nostri incubi personali: la malattia, la morte, tutte "quelle zone oscure" della vita che minacciano la nostra stabilità. L'unico rifugio pertanto resta il "sogno", quell'isola che non c'è" in cui i nostri ricordi vengono preservati e gli "strappi" ricuciti.