Visualizzazioni totali

domenica 2 maggio 2010

Agora


Cosmo in greco non vuol dire grande, né infinito, né meraviglioso. Vuol dire ordine. Un ordine ben rappresentato dalle stelle così dette “erranti” che in realtà seguivano delle traiettorie ben definite per rioccupare periodicamente la stessa posizione in cielo rispetto alle stelle propriamente dette e considerate "fisse". Un ordine che noi umani non siamo in grado di seguire con i nostri moti imperfetti di animo e di pensiero, con le nostre esistenze “erranti”, infinitamente piccole e insignificanti paragonati alla grandezza dell'universo. Il regista spagnolo Alejandro Amenabar in Agora si muove su questi due livelli: terra e cielo.

Da un lato ripercorre le vicende storiche di Alessandria d'Egitto del 391 dopo Cristo tra le insurrezioni dei cristiani prima contro i pagani e poi contro gli ebrei, dall'altro segue le scoperte della scienza custodite gelosamente nel tempio del sapere, la biblioteca della città.

A fare da fil rouge tra terra e cielo vi è la storia di una giovane scienziata, Ipazia, ultimo baluardo di un mondo pagano che si affida alla ragione, all'ordine del pensiero, ad una umanità laica nel quale la pietas non è l'attributo di un'entità superiore, ma un elemento imprescindibile dell'essere umano in quanto tale. Ipazia, incarnata nella bellezza giunonica e senza fronzoli di Rachel Weisz, rappresenta l'estremo tentativo di riconciliare le opposizioni sotto un cielo unito e perfetto, imperscrutabile e perenne. E' simbolo di un'epoca in agora2decadenza che il regista ci racconta attraverso i fasti di mosaici, colonne, affresci ormai in declino, tra le folle deliranti in cui ognuno uccide il proprio fratello in nome di una religione che predica amore e perdono. Le urla di dolore e di morte si propagano tra le stelle, diventano un'eco perso nel tempo e nello spazio che possiamo udire ancora oggi perché la Storia, proprio come le stelle erranti, segue un percorso circolare, in cui cambiano gli scenari della medesima condizione umana regolata dalla legge di sopraffazione e dall'istinto di sopravvivenza. Ipazia è emblema di un'umanità e di una femminilità nuova , condottiera fino all'ultimo con le sole armi del sapere, della libertà e del perdono, si consacra a quel cielo che resta lo stesso, unito e perfetto, anche nel caos e nella disperazione. Contesa tra l'amore del suo schiavo e quello di uno dei suoi consiglieri che poi diverrà prefetto, la scienziata sarà vittima della setta cristiana dei parabolani e del vescovo Cirillo. Amenabar decide di non rappresentare la violenza e la crudeltà dell'uccisione di Ipazia torturata seviziata e lapidata dai cristiani. Nonostante le tematiche forti del film il regista mantiene sempre un distacco, una freddezza, privilegiando la teatralità della rappresentazione, dalle ambientazioni alla scelta dei costumi. Sceglie di filtrare la Storia attraverso lo sguardo lucido e sapiente di Ipazia, le panoramiche sulla città e nelle ampie inquadrature del cosmo, dellla terra, di quel cielo a cui Ipazia ha dedicato un'intera vita e sotto il quale, nonostante il tempo sia passato, non siamo mai cambiati.

Nessun commento:

Posta un commento