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venerdì 13 marzo 2009

Duplicity


Un film a metà tra spy-story e commedia romantica che mescola spionaggio e affari di cuore.
Un viaggio, dislocato nello spazio e nel tempo, sul doppio binario dell'amore e dell'ambizione, sospeso tra l'inganno e il gioco delle parti, verso l'inevitabile meta della disillusione.


Dopo aver diretto il legal thriller Michael Clayton e scritto la sceneggiatura della fortuna saga adrenalinica di Jason Bourne, Tony Gilroy torna dietro la macchina da presa per girare un film a metà tra spy-story e commedia. Duplicity vede il ritorno sul grande schermo di una coppia già “collaudata” in Closer di Mike Nichols, ovvero l'inossidabile e sempre incantevole Julia Roberts e il bel tenebroso Clive Owen. La trama ricalca le classiche storie di spionaggio: una “mission impossible” dai profitti esorbitanti. Ma quando agli affari economici si aggiungono quelli di cuore, si sa, la questione si complica. Gilroy dosa bene azione e sentimento, arricchisce una storia di spionaggio, già di per sé complicata, di dialoghi al fulmicotone tra due amanti, per di più complici in un piano che sembra perfetto. I due ambiziosi e determinati carrieristi abbandonano di comune accordo le loro precedenti attività, a servizio della sicurezza nazionale, per “arruolarsi” in una guerra fredda, senza esclusione di colpi, tra due multinazionali rivali. La loro missione sarà quella di scoprire la formula di un misterioso prodotto che una delle due aziende metterà sul mercato per sbaragliare ogni tipo di concorrenza. Pur realizzando Duplicity su una storia avvincente dal ritmo sostenuto, il regista confonde lo spettatore, sviluppando la vicenda su più piani temporali e in locations sempre diverse. I continui flashback, se di sicuro servono a mostrare il fascino suggestivo di città come Roma o Dubai, non rendono fluida la ricostruzione temporale del film, sopratutto se si considera che la trama è costruita “ad incastro”, come un gioco di scatole cinesi.
Ma la bravura degli interpreti, dai protagonisti a Tom Wilkinson e Paul Giamatti, la coppia ben assortita e le battute al vetriolo tra i due che rimandano alla “sophisticated comedy”, compensano l'evitabile incomprensione di alcuni momenti del film. Se Gilroy può non essere stato tanto abile nell'“incastrare” tutti i tasselli del puzzle in questa pellicola come in Michael Clayton, è riuscito, però, a rappresentare la gamma di emozioni amorose in modo anticonvenzionale, nell'incontro/scontro, non solo fisico, tra i due partners, in un gioco duplice di attrazione/repulsione che oscilla tra “coup de foudre” e tradimenti fatti con leggerezza, fiducia e sfiducia, appuntamenti occasionali e promesse non mantenute. La “duplicity” del titolo sta quindi ad indicare non solo il bluff, le tattiche sleali, la doppiezza degli intenti delle due spie, ma anche e sopratutto l'identità di “copertura” che si assume in una relazione quando la posta in gioco è troppo alta, tanto da riconoscerci nell'“altro” e amarlo non per quello che è ma nonostante quello che è.

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