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sabato 12 dicembre 2009

A Christmas Carol


Zemeckis rivisita il celebre racconto di Dickens intrecciando i piani temporali e riproducendo in 3D le atmosfere gotiche della Londra vittoriana.

Un classico non ha età. Lo dimostra Robert Zemeckis coniugando abilmente tradizione ed innovazione in un film che racconta una delle storie natalizie più amate di tutti i tempi, utilizzando le nuove tecnologie 3D. Era il lontano 1843 quando Charles Dickens scrisse il suo A Christmas Carol, un racconto di forte impatto non solo dal punto di vista narrativo, ma anche visivo, da lasciar pensare che fosse stata concepita per il cinema, precorrendo i tempi.
Chi meglio del regista di Ritorno al futuro poteva adattare per il grande schermo una storia, come A Christmas Carol, che anticipa la scrittura cinematografica e si svolge su diversi piani temporali: passato, presente e futuro di un uomo che non conosce, o ha dimenticato, la magia del Natale. Una magia che non si può spiegare, ma solo accogliere.
Il capolavoro di Dickens è una meravigliosa epifania, un miracolo che riporta in vita lo spirito (anzi gli “spiriti”) natalizio e ricrea l’incanto di una primordiale innocenza. La storia di Mr. Scrooge si svolge nell’arco di una notte, a cavallo tra il 24 e il 25 dicembre in una suggestiva Londra vittoriana, eppure è un vero e proprio viaggio nel tempo: tre fantasmi fanno visita al vecchio burbero Mr. Scrooge, inaridito dal denaro e dalla solitudine, rivelandogli verità sconcertanti sulla sua vita e concedendogli la possibilità di una redenzione. Zemeckis usa tutto il potenziale visivo e la forza immaginativa della storia, come se il libro di Dickens prendesse vita sotto i nostri occhi.
La tecnica performance capture, già utilizzata dal regista in Polar Express e La leggenda di Beowulf, cattura digitalmente l’interpretazione degli attori con una cinepresa a 360° e pertanto non comporta nessuna restrizione dal punto di vista artistico. Al contrario, non solo si avvale della forza interpretativa del cast, ma permette ai realizzatori di ricreare un mondo dickensiano, trasportando il pubblico in un luogo e in un’epoca altrimenti non rappresentabile a tali livelli di perfezione e verosomiglianza.
La bravura degli attori è davvero impressionante: il camaleontico Jim Carrey nei panni di Ebenezer Scrooge; il signorotto inglese cordiale e allegro, il nipote Fred alias Colin Firth; i veterani Gary Elwes e Bob Hoskins; l’incantevole Robin Wright Penn e l’eclettica Fionnula Flanagan.
Il film di Zemeckis riesce a tradurre cinematograficamente l’atmosfera gotica del racconto, e a unire il carattere fantastico del Canto di Natale con la veridicità dei personaggi, maschere dai tratti umani esasperati, quasi grotteschi ma vivi e reali. Al di là degli effetti speciali davvero stupefacenti, A Christmas Carol riesce, ancora una volta, ad esprimere quell’apertura del cuore verso l’altro, verso il povero e il sofferente, quel sentimento di compassione che permette una comprensione amorevole degli eventi che accadono. Il Canto di Dickens racchiude in sé una forza religiosa che si coglie non solo nella semplice simbolicità, ma sopratutto nell’affidare la rappresentazione dell’invisibilità, di quella “inner light” che siamo soliti chiamare coscienza, ad una presenza incorporea, luminescenza senza tempo, in cui la ricognizione della verità coincide con la riconciliazione col mondo e la gioia di un avvento.

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