
Baz Luhrmann, il regista visionario di Moulin Rouge e Romeo+Juliet, mette il suo genio creativo a servizio della sua terra d’origine, svelando il fascino di una natura selvaggia e il mistero di una storia dolorosa.
di Maria Cristina Locuratolo 28 gennaio 2009 12:24
In Australia Baz Luhrman veste i panni del mago di Oz: rende la sua musa Nicole Kidman una novella Dorothy, la quale si accompagna nel suo girovagare infinito ad una puledra purosangue piuttosto che ad un cagnolino, e al posto delle scarpette rosse prodigiose, indossa gli abiti di una nobildonna inglese del Novecento. Più volte Luhrmann afferma, attraverso i personaggi del film, che il valore di un uomo è nella storia che vive e racconta. E lui, da carismatico stregone, tesse con Australia una fitta tela che vorrebbe ammantare con la magia di cui è capace. L’incantesimo qui ha i colori vividi di suggestivi paesaggi; una terra arida ed incontaminata come l’Australia diviene una sorta di “isola che non c’è” grazie al talento visionario e pittorico del regista che più che un luogo, vorrebbe creare una magia, un’atmosfera dal fascino remoto, impalpabile e stregata.
Il cuore del film pulsa a ritmo del leit-motiv Over the Rainbow, pezzo reso celebre da Judy Garland, proprio nel capolavoro di Victor Fleming del 1939 Il Mago di Oz, e che qui non solo suggerisce la storia ma ne amplifica il senso. L’anima di (e dell’) Australia, questa terra “romantica e selvaggia”, come la Kidman l’ha definita, trova il suo contrappunto nell’opera fantasy, ispirata al libro di Frank Baum. Ma “oltre l’arcobaleno” questa volta non c’è incanto; Baz osa troppo, mescola i generi, passa con nonchalance dal western al musical, dalla commedia romantica al “war movie”, cambia più volte registro e sopratutto vuole trattare temi importanti in una volta sola, senza dare loro lo spazio che meritano. Quando l’aristocratica Sara Ashley narra la fiaba di Oz al piccolo aborigeno meticcio Nullah, Luhrmann come un mago sapiente illude lo spettatore, portandolo indietro di 70 anni, ricreando visivamente la scena clou del film di Fleming, quando Dorothy intona la sua canzone, con una fotografia dai toni color seppia e un cielo dipinto che lascia spazio a rêveries di nostalgica bellezza. Ma Baz si rifà anche ad altri archetipi cinematografici: in primis a Via col Vento sempre di Fleming ma anche ad altri kolossal come Lawrence d’Arabia e La regina d’Africa, drammi dalla struttura shakespeariana che gettano uno sguardo a pagine di storia ignorate, oscure o dimenticate. E così l’eterea e austera Nicole si destreggia tra il bestiame e i canguri saltellanti, sfida il “cattivo di turno” e scopre l’amore, quello sognante e sensuale per il bel mandriano dai modi rudi, Hugh Jackman, e quello materno per un meticcio australiano, un piccolo sciamano che ha negli occhi e nel cuore i misteri della sua terra. Non solo, si trasforma da elegante Lady a cow-girl, galoppando sul suo cavallo nero, Capricornia, attraverso i colori, gli odori, i suoni struggenti, e a volte spettrali, di un territorio dalla doppia anima.
Al di là dei conflitti d’interesse, del bombardamento per mano dei giapponesi e persino della storia d’amore, infatti, vi è il dramma umano delle cosìdette “generazioni rubate” ossia di quei bambini, frutto spesso di violenza da parte di bianchi ai danni di donne aborigene, strappati dal loro territorio e deportati in istituti religiosi per cancellare le tracce peccaminose della loro etnìa. Ma non basta lo sguardo magnetico di Nullah, né del suo nonno sciamano che gli fa da angelo custode, a rendere giustizia a tanta sofferenza. L’esuberanza creativa ed immaginifica di Luhrmann non riesce a ripetere il miracolo di Moulin Rouge, dove Oz era una Paris visionaria, barocca e ricca di poesia. La “magia” di Australia rischia di perdersi “oltre l’arcobaleno”, in paesaggi da cartolina, senza quell’incanto che è possibile solo attraverso l’emozione, svelando il cuore segreto di una storia per condividerla e renderla eterna. Così Australia come Oz si rivela solo un’illusione, una fantasmagorica visione che afferma il potere dei sogni e della propria terra d’appartenenza.
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