
Un horror fantascientifico girato come un video amatoriale; un "disaster movie" in cui cinque giovani newyorkesi restano coinvolti in un attacco alla città perpetrato da un mostro gigantesco e misterioso. 85 minuti da togliere il fiato.
di Maria Cristina Locuratolo 23 febbraio 2008 13:48
L’ombra apocalittica dell’11 Settembre può assumere moltiplici sembianze. Anche quelle di un mostro che sembra la reincarnazione di Godzilla, terrificante ed oscuro, che si muove su New York come un gigantesco ragno e genera altri mostriciattoli che sbucano dal sottosuolo come topi affamati, creature figlie della mitologia e delle paure dell’uomo contemporaneo. J.J Abrams, creatore di successi come Lost e Alias, è l’artefice del "disaster movie" Cloverfield che si prefigge di mostrare con realismo l’irreale attraverso l’occhio impietoso e spaventato di una camera a mano che non tutto può vedere ma che resta sempre accesa, segue la paura, la filma, documenta l’inimmaginabile.
All’inizio del film una didascalia avvisa che le immagini che seguono sono state ritrovate a Cloverfield, zona nota come Central Park a New York. Il pretesto narrativo che giustifica la presenza di una telecamera digitale riprendente l’accaduto è un party organizzato da un gruppo di ragazzi che festeggiano la partenza di un amico per il Giappone. Appena il tempo di conoscere i partecipanti della festa e poi un black-out improvviso, nel buio un boato che sembra un terremoto.
Un’esplosione nel cuore della città, a Manhattan, il crollo inspiegabile di un grattacielo; i ragazzi corrono per strada, intravedono la sagoma di un terrificante e misterioso mostro mentre la testa gigantesca della Statua della Libertà, emblema della Grande Mela, rotola per le vie del centro schiacciando tutto. Sul fiume Hudson campeggia il simbolo della libertà decapitata, il panico induce gli abitanti della città sotto assedio a cercare vie di fuga ma nessun posto è sicuro. Così inizia una folle e confusa corsa sul ponte di Brooklyn che però crolla inesorabilmente dopo un colpo di coda della mostruosa creatura.
La telecamera digitale è testimone di tutto questo, il suo riprendere inesperto è invece abilmente studiato dal regista Matt Reeves, così come i frequenti flashback e forward sono giustificati dalla precedente registrazione sul nastro di un video amatoriale. Il resto del film mostra il disperato tentativo dei ragazzi superstiti di salvare una loro amica rimasta intrappolata sotto le macerie del suo appartamento situato proprio nel centro di New York ovvero dove il mostro ha attaccato la città.
Si potrebbe leggere Cloverfield come una metafora del terrorismo, piaga del nostro tempo; le immagini dell’attacco a New York nel film richiamano alla memoria quelle dell’11 Settembre, sono immagini che tuttavia non svelano niente, non danno risposte, lasciano insoluto il mistero di una minaccia che c’è, è incombente ma di cui non si sa niente o molto poco e per questo fa ancora più paura. Il mostro in Cloverfield non ha un’identità ben definita: spaventa, uccide, si sa solo questo. Si muove al buio come una piovra o come un ragno, tesse una ragnatela di morte e terrore e i figli che genera agiscono come lui nell’ombra, eppure sono lì pronti ad attaccare con ferocia, spuntano dalle viscere della terra per mangiare esseri umani. Chi viene a contatto con queste oscure creature muore, se si viene solo morsi si è destinati a scoppiare come un kamikaze.
Ma le analogie con l’attacco alle Twin Towers e i punti di contatto con il terrorismo sono solo una chiave di lettura del film che, forse, molto più semplicemente nasce dalle suggestioni di J.J.Abrams in seguito ad un suo viaggio in Giappone, in cui si è dilettato a girare per negozi di giocattoli sulla scia di Godzilla e Gamera, leggendari mostri orientali che fanno parte dell’immaginario collettivo. Oppure si può banalmente ridurre Cloverfield ad una abile strategia di marketing, messa in atto soprattutto tramite internet. In rete, infatti, si è creato il fitto mistero sul film, attraverso i trailers inquietanti, gli indizi sulla trama, le teorie sulle sembianze e la natura del mostro. Un gioco che i produttori hanno diretto con maestria, attenti a non scoprire troppo le loro carte ma forse caricando troppo di aspettative l’eventuale spettatore.
In ogni caso Cloverfield ha il merito di essere una pellicola innovativa, che potrebbe inaugurare un nuovo genere di horror, non più basato su sangue e scene "splatter", ma sulla paura, quella più pura e primordiale e sull’immedesimazione che è possibile quando si conferisce alle immagini un certo realismo, senza dover provocare a tutti i costi disgusto, e quando gli attori non sono volti noti ma persone comuni, come tante altre. Il finale non risolutorio continua a tener viva la tensione e a catalizzare l’attenzione degli spettatori e, se non fosse solo lo spunto per realizzare dei sequel, potrebbe assicurare a Cloverfield un piccolo spazio nella storia del cinema come un film che ha centrato in pieno l’idea della paura, lasciandoci all’oscuro, senza nessuna verità o perchè, negandoci l’identità di una minaccia mostruosa che trae forza proprio dal suo essere ignota.
Nessun commento:
Posta un commento