
Arrivato in Italia come ultima tappa di un viaggio lungo un anno tra premi, riconoscimenti e due statuette dell’Academy Awards (migliore attrice non protagonista e migliore sceneggiatura non originale).
Precious, nato dalla penna della scrittrice americana Sapphire col titolo di Push e tradotto per il grande schermo dal regista Lee Daniels è la storia agghiacciante di una ragazza di Harlem, che vive in condizioni disagiate, vittima di abusi e violenze familiari, priva dell’educazione scolastica e con gravi disordini alimentari. Violentata dal padre, rimane incinta due volte. Partorisce un figlio down e ne attende un altro. Subisce continue aggressioni dalla madre che la mortifica, l’accusa di averle sottratto le attenzioni del marito, la picchia brutalmente e abusa di lei.
Lo sguardo impietoso di Daniels ci mostra un mondo, il ghetto, dominato dall’ignoranza e dalla povertà, in cui la violenza, sia fisica che verbale, rappresenta l’unico modo per relazionarsi con l’altro. Un mondo privo di qualsiasi prospettiva o orizzonte culturale, il cui unico contatto con l’esterno, l’unica finestra è uno schermo televisivo. Ed è su questa finestra che si affacciano i sogni di Precious, momenti di evasione onirica che il regista sceglie di mostrarci, oscurando con essi le scene di violenza sessuale. Una scelta che, a detta del regista stesso, serve ad alleggerire il racconto, ma non lo rende meno indigesto, perché presentandosi come un rituale, con la reiterazione scombinata di immagini fortemente rappresentative della quotidianità di Precious, sembra quasi sapientemente studiata per lasciare spazio all’immaginazione dello spettatore.
La forza del film non è nell’orrore che racconta, che lascia senza fiato e blocca qualsiasi reazione emotiva dello spettatore che non sia incredulità, disgusto e indignazione, ma nella protagonista, nel suo coraggio, nella sua determinazione ad uscire dal suo inferno personale, pur non avendo gli strumenti e la chiara percezione di quello che le è successo e che le sta succedendo.
Il riscatto è nell’istruzione, l’unica arma in grado di sconfiggere l’ignoranza bieca che sfocia nella violenza più truce, quella che riduce l’uomo a bestia malevola, quella per cui non esiste compassione, ma solo condanna. Precious, nonostante tutto comprende che c’è davvero qualcosa di “prezioso” in lei e che va salvaguardato. Comprende che la risposta alla violenza non deve essere necessariamente la violenza stessa e che si puo’ uscire dal tunnel se si cerca la luce.
La storia di Precious potrebbe apparirci lontana, temporalmente per la sua atmosfera vintage, dato che è ambientata negli anni Ottanta e spazialmente perché ha luogo in una realtà marginale, tuttavia la potenza visiva delle immagini, l’imponenza fisica e scenica della debuttante Gabourey Sidibe, maschera tragica in cui si riflettono migliaia di Precious, e l’invisibile violenza che striscia come la più alta forma del male, lascia in tutti noi, anche se geograficamente e culturalmente distanti dal ghetto, un segno che è una cicatrice e il peso di una verità insostenibile.
