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domenica 31 maggio 2009

A Cannes 2009 vince "il fascino dell’arte"


Trionfi e sconfitte della kermesse francese: Palma d’Oro ad Haneke per Il Nastro Bianco; Migliori attori Charlotte Gainsbourg in AntiChrist e Christopher Waltz in Inglourious Basterds; delusione per Campion, Loach, Bellocchio, Almodovar e Gilliam.
di Maria Cristina Locuratolo 31 maggio 2009 12:27

E’ calato il sipario anche su questa 62esima edizione del Festival di Cannes. La Palma d’Oro è andata al registra austriaco Michael Haneke e al suo Das Weiss Band, (Il Nastro Bianco) opera impegnata che riflette sul Male Assoluto, sui sintomi della violenza che da privata si fa sociale e politica. Sul film di Haneke, il Presidente di giuria, Isabelle Huppert spiega è «un film filosofico, un lungometraggio che dice cose importanti senza la volontà di trasmettere messaggi, ma solo per porre dei problemi».

Migliore prova attoriale quella di Christopher Waltz, altro artista austriaco che si fa interprete del Male oscuro in Inglourious Basterds di Quentin Tarantino, dove veste i panni di un ufficiale nazista, un malvagio sui generis, un cacciatore di ebrei poliglotta in un war movie with a vengeance che ci ricorda che il male, in questo caso il nazismo, va estirpato alla radice. Le storie vincitrici quest’anno a Cannes hanno, in un modo o nell’altro, rappresentato la realtà attraverso gli incubi ricorrenti della Storia e del nostro tempo: violenza, paura, degrado morale. E’ da intendersi in questo senso anche il Grand Prix a Un prophète di Jacques Audiard, film in cui un giovane arabo rinchiuso in un carcere francese si rende conto, a proprie spese, di come il male possa forgiare un’intera esistenza.

Premio a sorpresa per l’attrice Charlotte Gainsbourg, interprete del chiaccheratissimo (e fischiatissimo) AntiChrist di Lars Von Trier, accolto con irritazione da pubblico e critica, e per Alain Resnais, a cui è stato assegnato il Premio Speciale della giuria per Les Herbes Folles, che pure non ha destato entusiasmi, ma sopratutto per la sua mirabile carriera celebrata con una standing ovation. Il tema della violenza e della colpa ritornano in Kinatay, film che è valso un Premio come Miglior regista al filippino Brillante Mendoza, in cui una prostituta viene massacrata da un gruppo di poliziotti corrotti, generando nel più giovane di loro un conflitto che lo porta all’esasperazione, un rimorso che non trova espiazione. Il regista e attore turco Nuri Bilge Ceylan dice a proposito di Kinatay «È il film più potente e originale, anche dal punto di vista stilistico, che abbiamo visto». Premio della giuria per Thirst di Park Chan-Wook, Fish Tank di Andrea Arnold , mentre la miglior sceneggiatura è quella di Spring Fever di Lou Ye, scritta da Feng Mei.

Nessun riconoscimento per il romantico Bright Star di Jane Campion, intensa storia d’amore tra il poeta Keats e la sua bellissima Fanny, né per la straordinaria vicenda di Looking for Eric di Ken Loach, con il carismatico Eric Cantona. Delusione anche per il nostro Marco Bellocchio e il suo Vincere. Ci si aspettava forse un’accoglienza più calorosa per il geniale Almodóvar con Los Abrazos Rotos e per il visionario Terry Gilliam e il suo Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo che è stato più che altro l’occasione per omaggiare la memoria di Heath Ledger, qui alla sua ultima interpretazione. Entrare nel merito dei parametri di giudizio osservati dalla giuria francese è compito arduo, sopratutto se, come ha dichiarato la Huppert a proposito dei premi assegnati «Non ci sono stati certo criteri etici, ma casomai quelli della sorpresa, il fascino che si ha quando si incontra un’opera d’arte». E quel fascino segreto, sia esso dovuto all’insostenibile subordinazione al male rappresentato da Haneke, o agli squartamenti scioccanti di Kinatay, o ancora all’ombra oscura del nazismo di Inglourious Basterds, è la linfa vitale del cinema stesso, perché la Settima Arte rispecchiando il mondo ne crea uno nuovo, in cui l’uomo viene salvato e la Storia riscritta.

sabato 16 maggio 2009

Cannes 2009 punta sul grande cinema


La kermesse francese torna al suo periodo d’oro con artisti di fama mondiale e pellicole attesissimedal grande pubblico. Tarantino, Gilliam, Von Trier, Loach, Almodovar e tanti altri per celebrare la Settima Arte in pieno "ésprit de grandeur".
di Maria Cristina Locuratolo 16 maggio 2009 15:14

Apertura in grande stile per il 62esima Festival di Cannes 2009, come da tradizione per la kermesse internazionale più attesa dagli appassionati di cinema e dagli amanti del glamour e della mondanità. Film inaugurale è Up, pellicola in 3D della Pixar; padrino d’eccezione, Charlez Aznavour, una delle voci del cartoon nella versione francese. Inizia in modo sobrio la corsa alla “Palma d’oro” di questa edizione, con tanti palloncini colorati in onore del film buddy movie “pixariano”, in cui un burbero vecchietto instaura un’amicizia con un giovane boyscout, in viaggio in una casa trasportata da palloncini.

La presidentessa di giuria Isabelle Huppert menziona Fellini nel suo discorso di benvenuto e dice emozionata “ al cinema si va per ricordare, sognare e scoprire i segreti di quest’arte”. Insomma il “tocco” francese si nota tutto, nell’eleganza dei toni ma anche e sopratutto nelle scelte delle opere in mostra. Grandi nomi della scena cinematografica mondiale: Francis Ford Coppola che riscopre la sua vocazione per il cinema classico con Tetro, un film intimo e familiare, con uno sguardo al passato e uno al presente, diviso geograficamente tra Stati Uniti e Argentina e stilisticamente tra bianco e nero e colori; Lars Von Trier, con un horror che si preannuncia scioccante AntiChrist, interpretato da William Dafoe e Charlotte Gainsbourg, in cui si parte da una classica“haunted house” per arrivare ad esplorare l’inimmaginabile; Quentin Tarantino con l’attesissimo Inglorious Basterds, un film ad episodi che è un omaggio ai b-movie tanto cari al regista e che di sicuro non deluderà le aspettative dei numerosissimi fans del cineasta “pulp”; Ken Loach con Looking for Eric, una storia toccante di un postino malato e in piena crisi coniugale, sollevato solo dalla presenza di Eric Cantona , mito del calcio, che nel film interpreta se stesso; Alejandro Aménabar, il regista del capolavoro The Others, torna con Agora, ambientato nell’Egitto del IV secolo, verte attorno ai primi scontri di civiltà, tra cristiani e cultori degli antichi dèi, e alla vita di Ipazia, storica, matematica e filosofa greca, vittima di monaci fanatici e simbolo del libero pensiero.

E ancora, Elia Suleiman, regista palestinese tra i più apprezzati, racconta la storia dello Stato d’Israele dallo sua fondazione ad oggi in un film non strettamente politico dal titolo The time that remains; Chan- wook Park, regista coreano di Lady Vendetta e Old Boy, tenta di conquistare il pubblico internazionale con il suo Bak-Jwi, pellicola su un prete vampiro, che segue l’onda cinematografica del momento, con la riscoperta del mito di Dracula e tutte le (im)possibili variazioni sul tema; Ang Lee, autore molto amato a Venezia, ripropone l’evento più leggendario della storia del rock Taking Woodstock; Jane Campion che porta sul grande schermo la poesia di Keats con Bright Star, una meravigliosa storia d’amore tra il poeta inglese e la sua vicina di casa, Fannye Brawne; il “geniaccio” Pedro Almodovar con la sua ultima fatica Los Abrazos Rotos, un film di storie incrociate e di “abbracci rotti”, con la sua attrice feticcio Penelope Cruz (nella foto in alto), Premio Oscar meritatissimo per Vicky Cristina Barcelona; dulcis in fundo, Terry Gilliam, con l’ultimo film (incompleto) del compianto Heath Ledger, The Imaginarium of Doctor Parnassus; una favola mefistofelica che vede alternarsi i volti di Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell, i quali, grazie ad un espediente narrativo ideato ad hoc, sostituiscono Ledger, omaggiandone la memoria.

Unico titolo italiano della manifestazione francese è Vincere di Marco Bellocchio, pellicola che affronta il dibattito, più che mai attuale, sul sesso e il potere attraverso la storia della prima amante di Mussolini, madre di un figlio illegittimo del Duce, vittima sacrificale del regime fascista., mentre in giuria a rappresentarci è la conturbante Asia Argento.Cinema e musica formano un binomio perfetto a Cannes: sul red carpet , bagnato dalla pioggia, sfilano Lenny Kravitz e Mariah Carey, entrambi attori d’eccezione in Precious di Lee Daniels. Una Croisette ricca di emozioni che oltre a celebrare cineasti di fama mondiale, ha il grande merito di rappresentare cinematografie differenti, dall’Occidente all’Oriente, dal cinema classico a quello più sperimentale e visionario. Cannes 2009 si configura come un evento imperdibile che predilige la qualità e il talento, coniuga lo spettacolo all’arte, il glamour alla sobrietà. Un cinema che fa sognare, ricordare, e ci vela i segreti di quest’arte – direbbe la Huppert. Un cinema che cavalca il futuro sperimentando le nuove tecnologie, e si nutre di memoria, di quei film che hanno reso grande questa arte e riempito i nostri sguardi.

sabato 2 maggio 2009

Sogni di rock’n’roll


I ruggenti anni del rock britannico viaggiano sulle onde di navi pirata che trasmettono musica no-stop, suscitando l’entusiasmo della gente e il malcontento delle istituzioni. E’ quello che vuole raccontarci Richard Curtis, regista e sceneggiatore di I love Radio Rock, film dal cast stratosferico tutto sesso, droga e rock’n’roll.
di Maria Cristina Locuratolo 2 maggio 2009 18:31

Siamo alla fine dei mitici anni ’60, ovvero gli anni più straordinari per il pop britannico e sebbene all’epoca il canale “ufficiale”, la Bbc, trasmettesse solo due ore di rock and roll, altre radio dette “pirata” deliziavano i timpani e le giornate degli inglesi, rockettari nell’animo, trasmettendo da navi stravaganti nel freddo Mare del Nord, 24 ore su 24. E 25 milioni di persone, più della metà della popolazione britannica ascoltavano questi irriverenti pirati, le loro battute maniacali e un po’ troppo spinte, le loro fantasie e la musica, la grande musica.

Pochi sanno che queste radio con le loro trasmissioni “politically incorrect” hanno il merito di aver diffuso in modo capillare, raggiungendo ogni target di età, ceto sociale e genere della popolazione, pietre miliari della musica di tutti i tempi: dai Beatles e i Rolling Stones ai Kinks, passando per leggendari artisti come Jimmy Hendrix, Dusty Springfield, Aretha Franklin, Bob Dylan e Janis Joplin. Ebbene, questo è quello che vuole raccontarci Richard Curtis, regista e sceneggiatore di I love Radio Rock, film dal cast stratosferico (Philip Seymour Hoffmann, Rhyn Ifans, Bill Night, Nick Frost), tutto sesso, droga e rock’n’roll e anche molto altro. Una storia che parla di una generazione che andava a letto la sera con la radiolina a transistor sotto il cuscino, viaggiando sulle onde di questa musica sensazionale che non si sentiva da nessuna altra parte, se non sulle frequenze delle radio pirata.

Libertà, esuberanza giovanile, ma anche illegalità: queste stazioni radio erano state prese di mira dal governo britannico che vedeva la pirateria come una minaccia e si adoperò affinché le trasmissioni “non autorizzate” fossero soppresse. Al di là della sceneggiatura che trae spunto da fatti realmente accaduti, I love Radio Rock coinvolge lo spettatore per la caratterizzazione dei personaggi e i leit motive musicali che accompagnano la storia. Dietro i microfoni di Radio Rock si alternano uomini stra-ordinari, alcuni più talentosi di altri, tutti con nomi fumettistici, eccentrici nel vestire, nel muoversi o nel parlare, uomini fuori dagli schemi, controtendenza, decisamente non belli ma dalla forte personalità.

Al timone della Boat that Rocked (titolo originale del film) c’è un estroso personaggio detto il Conte interpretato da Hoffman, un americano grassoccio e molto schietto, che vive letteralmente di musica, al suo fianco c’è Frost nei panni di Dave, ironico, brillante e sarcastico; Simon (Chris O’Dowd) gentile, un po’ ingenuo e innamorato dell’amore; Midnight Mark (Tom Wisdom) misteriosa presenza silenziosa nella nave; Wee Small Hours Bcb (Ralph Brown) l’uomo col cervello più piccolo del mondo; On the Hour John (Will Adamsdale) addetto al notiziario; Angus the “Nut” Nutsford ( Rhys Darby) conosciuto come l’uomo più fastidioso d’Inghilterra. A completare il quadro dei deejay vagabondi arriva Carl (Tom Sturridge), un adolescente in crisi alla ricerca di suo padre e Gavin (Rhys Ifans), il più eclettico di tutti, un Jack Sparrow ante litteram con la stessa camminata alla Keith Richards, tornato dall’America per rivendicare il suo posto come migliore DJ della Gran Bretagna.

Insomma, una combriccola di “bad boys” creata ad hoc per far divertire e sognare sulle note di pezzi indimenticabili; un film allegro e nostalgico nel contempo che è innanzitutto una dichiarazione d’amore da parte di Curtis alla musica. A contrastare “l’allegra brigata” di pirati un eccezionale Kenneth Branagh nei panni di un grigio e dispotico Ministro Dormandy, uno di quei barbogi che alle nove di sera sorseggiano sherry seduti sul sofà, direbbe il Conte. Radio Rock ci rivela un segreto che in fondo conoscevamo già: la forza della musica non conosce divieti e restrizioni, non si può fermare, limitare, circoscrivere perché è una forza che si sprigiona e dà vita, speranza, un immediato senso di libertà e di infinito e, infatti, essa non muore mai, sa reinventarsi, va al passo coi tempi, parla all’uomo col suo linguaggio universale, accorcia le distanze e spesso guarisce i mali dell’anima, irrompendo nel silenzio, senza mai chiedere il permesso.