
I ruggenti anni del rock britannico viaggiano sulle onde di navi pirata che trasmettono musica no-stop, suscitando l’entusiasmo della gente e il malcontento delle istituzioni. E’ quello che vuole raccontarci Richard Curtis, regista e sceneggiatore di I love Radio Rock, film dal cast stratosferico tutto sesso, droga e rock’n’roll.
di Maria Cristina Locuratolo 2 maggio 2009 18:31
Siamo alla fine dei mitici anni ’60, ovvero gli anni più straordinari per il pop britannico e sebbene all’epoca il canale “ufficiale”, la Bbc, trasmettesse solo due ore di rock and roll, altre radio dette “pirata” deliziavano i timpani e le giornate degli inglesi, rockettari nell’animo, trasmettendo da navi stravaganti nel freddo Mare del Nord, 24 ore su 24. E 25 milioni di persone, più della metà della popolazione britannica ascoltavano questi irriverenti pirati, le loro battute maniacali e un po’ troppo spinte, le loro fantasie e la musica, la grande musica.
Pochi sanno che queste radio con le loro trasmissioni “politically incorrect” hanno il merito di aver diffuso in modo capillare, raggiungendo ogni target di età, ceto sociale e genere della popolazione, pietre miliari della musica di tutti i tempi: dai Beatles e i Rolling Stones ai Kinks, passando per leggendari artisti come Jimmy Hendrix, Dusty Springfield, Aretha Franklin, Bob Dylan e Janis Joplin. Ebbene, questo è quello che vuole raccontarci Richard Curtis, regista e sceneggiatore di I love Radio Rock, film dal cast stratosferico (Philip Seymour Hoffmann, Rhyn Ifans, Bill Night, Nick Frost), tutto sesso, droga e rock’n’roll e anche molto altro. Una storia che parla di una generazione che andava a letto la sera con la radiolina a transistor sotto il cuscino, viaggiando sulle onde di questa musica sensazionale che non si sentiva da nessuna altra parte, se non sulle frequenze delle radio pirata.
Libertà, esuberanza giovanile, ma anche illegalità: queste stazioni radio erano state prese di mira dal governo britannico che vedeva la pirateria come una minaccia e si adoperò affinché le trasmissioni “non autorizzate” fossero soppresse. Al di là della sceneggiatura che trae spunto da fatti realmente accaduti, I love Radio Rock coinvolge lo spettatore per la caratterizzazione dei personaggi e i leit motive musicali che accompagnano la storia. Dietro i microfoni di Radio Rock si alternano uomini stra-ordinari, alcuni più talentosi di altri, tutti con nomi fumettistici, eccentrici nel vestire, nel muoversi o nel parlare, uomini fuori dagli schemi, controtendenza, decisamente non belli ma dalla forte personalità.
Al timone della Boat that Rocked (titolo originale del film) c’è un estroso personaggio detto il Conte interpretato da Hoffman, un americano grassoccio e molto schietto, che vive letteralmente di musica, al suo fianco c’è Frost nei panni di Dave, ironico, brillante e sarcastico; Simon (Chris O’Dowd) gentile, un po’ ingenuo e innamorato dell’amore; Midnight Mark (Tom Wisdom) misteriosa presenza silenziosa nella nave; Wee Small Hours Bcb (Ralph Brown) l’uomo col cervello più piccolo del mondo; On the Hour John (Will Adamsdale) addetto al notiziario; Angus the “Nut” Nutsford ( Rhys Darby) conosciuto come l’uomo più fastidioso d’Inghilterra. A completare il quadro dei deejay vagabondi arriva Carl (Tom Sturridge), un adolescente in crisi alla ricerca di suo padre e Gavin (Rhys Ifans), il più eclettico di tutti, un Jack Sparrow ante litteram con la stessa camminata alla Keith Richards, tornato dall’America per rivendicare il suo posto come migliore DJ della Gran Bretagna.
Insomma, una combriccola di “bad boys” creata ad hoc per far divertire e sognare sulle note di pezzi indimenticabili; un film allegro e nostalgico nel contempo che è innanzitutto una dichiarazione d’amore da parte di Curtis alla musica. A contrastare “l’allegra brigata” di pirati un eccezionale Kenneth Branagh nei panni di un grigio e dispotico Ministro Dormandy, uno di quei barbogi che alle nove di sera sorseggiano sherry seduti sul sofà, direbbe il Conte. Radio Rock ci rivela un segreto che in fondo conoscevamo già: la forza della musica non conosce divieti e restrizioni, non si può fermare, limitare, circoscrivere perché è una forza che si sprigiona e dà vita, speranza, un immediato senso di libertà e di infinito e, infatti, essa non muore mai, sa reinventarsi, va al passo coi tempi, parla all’uomo col suo linguaggio universale, accorcia le distanze e spesso guarisce i mali dell’anima, irrompendo nel silenzio, senza mai chiedere il permesso.
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