
Trionfi e sconfitte della kermesse francese: Palma d’Oro ad Haneke per Il Nastro Bianco; Migliori attori Charlotte Gainsbourg in AntiChrist e Christopher Waltz in Inglourious Basterds; delusione per Campion, Loach, Bellocchio, Almodovar e Gilliam.
di Maria Cristina Locuratolo 31 maggio 2009 12:27
E’ calato il sipario anche su questa 62esima edizione del Festival di Cannes. La Palma d’Oro è andata al registra austriaco Michael Haneke e al suo Das Weiss Band, (Il Nastro Bianco) opera impegnata che riflette sul Male Assoluto, sui sintomi della violenza che da privata si fa sociale e politica. Sul film di Haneke, il Presidente di giuria, Isabelle Huppert spiega è «un film filosofico, un lungometraggio che dice cose importanti senza la volontà di trasmettere messaggi, ma solo per porre dei problemi».
Migliore prova attoriale quella di Christopher Waltz, altro artista austriaco che si fa interprete del Male oscuro in Inglourious Basterds di Quentin Tarantino, dove veste i panni di un ufficiale nazista, un malvagio sui generis, un cacciatore di ebrei poliglotta in un war movie with a vengeance che ci ricorda che il male, in questo caso il nazismo, va estirpato alla radice. Le storie vincitrici quest’anno a Cannes hanno, in un modo o nell’altro, rappresentato la realtà attraverso gli incubi ricorrenti della Storia e del nostro tempo: violenza, paura, degrado morale. E’ da intendersi in questo senso anche il Grand Prix a Un prophète di Jacques Audiard, film in cui un giovane arabo rinchiuso in un carcere francese si rende conto, a proprie spese, di come il male possa forgiare un’intera esistenza.
Premio a sorpresa per l’attrice Charlotte Gainsbourg, interprete del chiaccheratissimo (e fischiatissimo) AntiChrist di Lars Von Trier, accolto con irritazione da pubblico e critica, e per Alain Resnais, a cui è stato assegnato il Premio Speciale della giuria per Les Herbes Folles, che pure non ha destato entusiasmi, ma sopratutto per la sua mirabile carriera celebrata con una standing ovation. Il tema della violenza e della colpa ritornano in Kinatay, film che è valso un Premio come Miglior regista al filippino Brillante Mendoza, in cui una prostituta viene massacrata da un gruppo di poliziotti corrotti, generando nel più giovane di loro un conflitto che lo porta all’esasperazione, un rimorso che non trova espiazione. Il regista e attore turco Nuri Bilge Ceylan dice a proposito di Kinatay «È il film più potente e originale, anche dal punto di vista stilistico, che abbiamo visto». Premio della giuria per Thirst di Park Chan-Wook, Fish Tank di Andrea Arnold , mentre la miglior sceneggiatura è quella di Spring Fever di Lou Ye, scritta da Feng Mei.
Nessun riconoscimento per il romantico Bright Star di Jane Campion, intensa storia d’amore tra il poeta Keats e la sua bellissima Fanny, né per la straordinaria vicenda di Looking for Eric di Ken Loach, con il carismatico Eric Cantona. Delusione anche per il nostro Marco Bellocchio e il suo Vincere. Ci si aspettava forse un’accoglienza più calorosa per il geniale Almodóvar con Los Abrazos Rotos e per il visionario Terry Gilliam e il suo Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo che è stato più che altro l’occasione per omaggiare la memoria di Heath Ledger, qui alla sua ultima interpretazione. Entrare nel merito dei parametri di giudizio osservati dalla giuria francese è compito arduo, sopratutto se, come ha dichiarato la Huppert a proposito dei premi assegnati «Non ci sono stati certo criteri etici, ma casomai quelli della sorpresa, il fascino che si ha quando si incontra un’opera d’arte». E quel fascino segreto, sia esso dovuto all’insostenibile subordinazione al male rappresentato da Haneke, o agli squartamenti scioccanti di Kinatay, o ancora all’ombra oscura del nazismo di Inglourious Basterds, è la linfa vitale del cinema stesso, perché la Settima Arte rispecchiando il mondo ne crea uno nuovo, in cui l’uomo viene salvato e la Storia riscritta.
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