
OSCURE PRESENZE E DRAMMI FAMILIARI: VIAGGI SENZA RITORNO TRA LE QUATTRO PARETI DOMESTICHE
LO “SPAZIO MORTALE”
I “Brutti Posti”si configurano come l'habitat naturale di fantasmi e “presenze” di ogni sorta, ma a ben vedere, essi possono essere delle “batterie psichiche”, capaci di assorbire e contenere al loro interno tutta quella carica di “energia” scaturita da emozioni intense e primordiali. Oppure possono rivelarsi come un'emanazione della psiche tormentata di chi la abita o di chi l'ha abitata, una sorta di prolungamento dell'io narcisistico di qualche proprietario che faceva della casa il proprio specchio. Uno degli esempi migliori di “brutto posto” nel cinema contemporaneo è senza dubbio The Others (2001) di Alejandro Amenábar; la casa stregata in questione è un'isola innevata di ombre e nebbie abitata da una donna, Grace, e i suoi due figli. L'abitazione è sempre al buio, le finestre devono restare chiuse perché i bambini sono fotosensibili e uno spiraglio di luce potrebbe ucciderli. Nella dimora vittoriana vigono regole rigidissime imposte dal profondo senso di religiosità di Grace, regole che servono a scongiurare quella sensazione di minaccia, di pericolo incombente che pervade la casa, in cui si mescolano presenze e assenze.
Amenábar gioca sulla doppia valenza del “brutto posto”: esso è specchio della mente disturbata di una madre costretta a far vivere i propri figli come vampiri, o è davvero una casa stregata?
Nella villa priva di ogni mezzo di comunicazione, con lunghi corridoi, c'è un pianoforte che suona senza che nessuno sfiori i tasti, ci sono tende che si aprono da sole. Chi sono gli “altri”, gli “intrusi”? Grace con i suoi bimbi malati, che attende il ritorno del marito, morto nella guerra del '45, o due domestici misteriosi con una ragazzina muta che giungono misteriosamente nella casa? Chi è veramente morto e chi è vivo nel chiaroscuro dei corridoi? Quale terribile segreto deve restare nascosto, dietro ogni porta obbligatoriamente chiusa, perché non ci spaventi?
Stesso “brutto posto”, quello di Juan Antonio Bayona nel suo The Orphanage (2008), chiaramente ispirato al capolavoro di Amenábar, in cui la casa è un vero e proprio personaggio, rappresenta uno stato mentale dal quale la protagonista, Laura, non vuole distaccarsi perché è il luogo di un'infanzia idealizzata, un rifugio dal mondo degli adulti e delle responsabilità. Laura, è un personaggio infantile che non sa rapportarsi con l'età adulta, ma è anche una donna coraggiosa perché decide di affrontare i propri incubi personali da sola nella casa. Il “brutto posto” qui rappresenta tutte quelle “zone oscure” della vita che minacciano la nostra stabilità, quali la morte, la malattia, l'abbandono, il trauma della separazione da un passato che si credeva idilliaco o da una presenza a noi cara che potrebbe venire a mancare in futuro e, nel contempo, costituisce un rifugio sicuro, quell'isola che non c'è in cui i nostri ricordi vengono preservati e gli “strappi” emotivi ed affettivi ricuciti.
Il “fantasma” qui può essere letto sia come elemento soprannaturale, che come qualcosa che ci “abita” dentro, uno spettro che si agita dentro di noi.
L’HOTEL ASSASSINO E LA CASA FAMELICA
Stanley Kubrik in Shining (1980), tratto dal libro omonimo di Stephen King, rielabora in chiave horror il topos letterario della “casa infestata” trasformandola in un hotel, relazionandolo con una famiglia, composta da una coppia e dal loro figlio, dotato di facoltà telepatiche. L'Overlook Hotel, in realtà, è un luogo pieno di influenze tragiche; sorto sopra un vecchio cimitero indiano, in esso “alberga” il segreto e la colpa di una storia di follia omicida, avvenuta anni prima. Grazie alle doti “magiche” del nuovo residente, l'hotel diviene un luogo che mette in comunicazione passato, presente e futuro, aprendo una dimensione “altra”, emozionale in cui i tre tempi convergono.
La struttura labirintica dell'albergo invece, non solo è una chiara proiezione dello squilibrio mentale del guardiano, ma associa il “brutto posto” ad uno status onirico, ad una rappresentazione simbolica del subconscio degli abitanti della casa.
Il fatiscente edificio di Monster House (2005) potrebbe nascondere mostri terrificanti o spettri che trascinano catene, ma in realtà è la casa stessa a costituire un pericolo per i tre ragazzini incuriositi che vogliono scoprire il suo segreto. La sinistra dimora è una casa “affamata”, che mangia tutto ciò che gli capita a tiro, bambini compresi. Il film di Gil Kenan, prodotto da Spielberg e Zemeckis, oltre ad essere un'eccellente prova di motion capture, è un'ironica rivisitazione dello stereotipo della classica haunted house, ovvero della casa occupata da “presenze” indesiderate. I temerari ragazzi compiranno un viaggio surreale, la notte di Halloween, fin nelle viscere della casa, e sì perché l'abitazione ha un cuore, e ogni organo vitale posseduto da un essere umano. L'antropomorfizzazione della casa è dovuta all'identificazione di quest'ultima con la proprietaria defunta, la cui anima ingorda è imprigionata nella dimora. Il maleficio che incombe sulla casa verrà annullato dai tre teenagers che libereranno la casa dallo spirito ingombrante, anche nelle dimensioni, della signora onnivora.
Come direbbe Dante "Lasciate ogni speranza voi ch'entrate" perchè dietro ogni porta di qualsivoglia rispettabile casa può nascondersi l'inferno.
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