
Il film di Jason Reitman, presentato in anteprima all’ultimo festival cinematografico romano, prima fa incetta di nominations ai Golden Globes ora punta all’Oscar. Qual è il punto di forza di un film apparentemente privo di pretese?
di Maria Cristina Locuratolo 25 gennaio 2010 12:00
Un “tagliatore di teste” con la faccia da simpatica canaglia alias George Clooney, viaggiatore incallito che accumula bonus da frequent flyer per arrivare all’ambito e non impossibile traguardo di dieci milioni di miglia domina la scena di un film che ha convinto pubblico e citica aggiudicandosi ben 6 nominations ai Golden Globes, uno vinto per la miglior sceneggiatura, e ora in rapida ascesa verso l’Oscar. «La storia di un uomo pronto a prendere il volo» diretta dal figlio d’arte Jason Reitman, già regista di Thank you for smoking e Juno, trionfatore al festival cinematografico capitolino, coniuga il ritmo e i dialoghi brillanti da commedia americana con una riflessione amara e a tratti cinica sulla crisi economica del nostro tempo. Dopo la sua prima pellicola, Reitman si rimette dalla parte dei “cattivi”, allora rappresentati dai lobbisti di tabacco, ora il “licenziatore di massa” Ryan Bingham che per svolgere il “lavoro sporco” adotta una procedura scientifica che lascia poco spazio all’umana comprensione.
Tra le nuvole cavalca “in cielo” il periodo storico attuale con una punta di ironia: il segreto probabilmente risiede nello svelare una realtà comune a molti con onestà di intenti e sentimenti. Reitman ha scelto degli attori esordienti, presi tra i disoccupati delle aziende americane, ha pubblicato degli annunci sui giornali di Detroit e St. Louis che sono le città maggiormente colpite dalla crisi, scrivendo che voleva girare un documentario per narrare le conseguenze emotive, in seguito alla perdita del lavoro. Tra tanti candidati, venticinque sono stati i prescelti. Così Jason li ha ripresi facendogli riprovare l’esperienza del licenziamento. Anonimi impiegati che rivivono il proprio dramma davanti alla macchina da presa, alternati a suggestive riprese dall’alto di città in cui la crisi ha colpito più forte come Detroit, Phoenix, Saint Louis, Omaha, Wichita che svelano il vero volto dell’America di oggi, straziata dalla logica degli esuberi. Un unico cielo di infinite solitudini, in cui bisogna viaggiare “leggeri”, nessun bagaglio ingombrante, effetti personali da raccogliere subito, senza inutili drammi.
L’asso nella manica di questo film è proprio il cast: in primis Clooney, personaggio scomodo eppure irragionevolmente simpatico, cinico nomade da club privé e hotel di lusso, un uomo che ha costruito la propria felicità in un non-luogo come l’aeroporto, tra metal detector e pasti preconfezionati, tra i sorrisi finti di avvenenti hostess e premi fedeltà. Anna Kendrick alias Natalie, pragmatica apprendista nell’era del virtuale che per minimizzare i costi aziendali, propone licenziamenti via web cam e Vera Farmiga alias Alex, alter ego al femminile di Ryan, che (s)travolge l’esistenza del viaggiatore/eraser ponendolo di fronte alla possibilità di un lavoro in sede, una stabilità emotiva, una casa, una famiglia. Ma la vita beffarda gli ricorda con amarezza che l’unica fedeltà alla quale si può aspirare è forse quella accumulabile in punti su una brochure e che è più facile ritagliarsi un posto “tra le nuvole” che in un mondo ostile.
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