
Tarantino contro Hitler e seguaci in un film che ha suscitato polemiche tra le comunità ebraiche e la critica di tutto il mondo. Una pellicola “politically incorrect” che risente dell’impronta stilistica del cineasta “pulp”.
di Maria Cristina Locuratolo 23 ottobre 2009 10:31
Il cinema sceglie, di volta in volta, tra le infinite storie (im)possibili, un’unica storia. Spesso non traccia un confine netto tra vero e verosimile, ma si perde in un caleidoscopio di immagini e colori, appellandosi alla capacità dello spettatore di sospendere la propria incredulità per un breve lasso di tempo, per abbandonarsi alla magia della proiezione. Vedere un film è un atto di fede, implica un tacito patto tra gli spettatori ed il regista, il pubblico e l’affabulatore. Il cinema può dunque riscrivere la Storia? Non può di certo deviarne il corso, ma può immaginare di poterlo fare. E’ questo, probabilmente, quello che ha pensato Quentin Tarantino mentre girava Bastardi senza gloria. La storia proiettata in una sala cinematografica diventa la Storia; il regista veste i panni di un illusionista che con un abile artificio rende reale ciò che non lo è, o meglio, ciò che non è stato. E per due ore, o poco più, noi gli crediamo.
Tarantino contro i nazisti, in un film che rivendica il diritto di salvare il mondo da quella che è stata la Tragedia per eccellenza. Così il burattinaio Quentin lascia bruciare (letteralmente) le sue marionette, manovrando i fili a suo piacimento. I “Bastardi” in questione, capitanati dal tenente Aldo Raine alias Brad Pitt, sono un gruppo di soldati americani, paracadutati oltre le linee nemiche, che diventano il terrore delle SS. Sono uomini arrabbiati e violenti che uccidono con coltelli, pistole e persino mazze da baseball i nemici tedeschi per poi fare loro lo scalpo. La loro è una personale missione contro il Terzo Reich, una vendetta in nome delle vittime ebree. E’ chiaro che il regista più “pulp” del cinema contemporaneo, non intende darci lezioni di Storia e questo è già facile intuirlo dal titolo goliardico, dal vendicatore Eli Roth, nuovo volto degli horror movies, che spacca i crani dei tedeschi con una mazza da baseball, da Raine/Pitt che incide svastiche con un coltellaccio sulla testa dei nemico sopravvissuti. La pellicola si rifà ad alcuni film anni Settanta come Ilsa e la Belva delle SS e sequel, vuole divertire con scene splatter, gioca con i simboli del nazismo esasperandone la visibilità, e sopratutto utilizza il cinema come espediente narrativo e mezzo per riscrivere la Storia.
Astuto e forse amorale Quentin, perché le ingiustizie e la morte non si riscattano, nemmeno su un piano ideale, con la violenza brutale. Ma, in fondo, al prestigiatore-cineasta interessa solo che il “numero” riesca, che l’artificio sembri magia pura. E Tarantino riesce a tenere incollato lo spettatore alla sedia, anche questa volta, grazie alla potenza visiva e immaginativa del film, ai dialoghi godibilissimi dei personaggi, all’interpretazione di attori straordinari, in primis quella di Christoph Waltz, spietato colonello nazista. La Storia rimane paradossalmente ai margini della storia; conta il dettaglio e lo stile. Molti critici hanno condannato su un piano etico il regista, accusandolo di ignoranza, miopia, negazionismo e scarso rispetto nei confronti della memoria storica e della Shoah, ma io credo che Tarantino non si sia posto problemi di ordine morale mentre pensava ai suoi inglourious basterds. Non voleva fare un film storico, ma immaginare una trama verosimile che intrattenesse il suo pubblico in cui le vittime diventassero carnefici, senza infamia e senza gloria.
Nessun commento:
Posta un commento