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sabato 12 dicembre 2009

A Christmas Carol


Zemeckis rivisita il celebre racconto di Dickens intrecciando i piani temporali e riproducendo in 3D le atmosfere gotiche della Londra vittoriana.

Un classico non ha età. Lo dimostra Robert Zemeckis coniugando abilmente tradizione ed innovazione in un film che racconta una delle storie natalizie più amate di tutti i tempi, utilizzando le nuove tecnologie 3D. Era il lontano 1843 quando Charles Dickens scrisse il suo A Christmas Carol, un racconto di forte impatto non solo dal punto di vista narrativo, ma anche visivo, da lasciar pensare che fosse stata concepita per il cinema, precorrendo i tempi.
Chi meglio del regista di Ritorno al futuro poteva adattare per il grande schermo una storia, come A Christmas Carol, che anticipa la scrittura cinematografica e si svolge su diversi piani temporali: passato, presente e futuro di un uomo che non conosce, o ha dimenticato, la magia del Natale. Una magia che non si può spiegare, ma solo accogliere.
Il capolavoro di Dickens è una meravigliosa epifania, un miracolo che riporta in vita lo spirito (anzi gli “spiriti”) natalizio e ricrea l’incanto di una primordiale innocenza. La storia di Mr. Scrooge si svolge nell’arco di una notte, a cavallo tra il 24 e il 25 dicembre in una suggestiva Londra vittoriana, eppure è un vero e proprio viaggio nel tempo: tre fantasmi fanno visita al vecchio burbero Mr. Scrooge, inaridito dal denaro e dalla solitudine, rivelandogli verità sconcertanti sulla sua vita e concedendogli la possibilità di una redenzione. Zemeckis usa tutto il potenziale visivo e la forza immaginativa della storia, come se il libro di Dickens prendesse vita sotto i nostri occhi.
La tecnica performance capture, già utilizzata dal regista in Polar Express e La leggenda di Beowulf, cattura digitalmente l’interpretazione degli attori con una cinepresa a 360° e pertanto non comporta nessuna restrizione dal punto di vista artistico. Al contrario, non solo si avvale della forza interpretativa del cast, ma permette ai realizzatori di ricreare un mondo dickensiano, trasportando il pubblico in un luogo e in un’epoca altrimenti non rappresentabile a tali livelli di perfezione e verosomiglianza.
La bravura degli attori è davvero impressionante: il camaleontico Jim Carrey nei panni di Ebenezer Scrooge; il signorotto inglese cordiale e allegro, il nipote Fred alias Colin Firth; i veterani Gary Elwes e Bob Hoskins; l’incantevole Robin Wright Penn e l’eclettica Fionnula Flanagan.
Il film di Zemeckis riesce a tradurre cinematograficamente l’atmosfera gotica del racconto, e a unire il carattere fantastico del Canto di Natale con la veridicità dei personaggi, maschere dai tratti umani esasperati, quasi grotteschi ma vivi e reali. Al di là degli effetti speciali davvero stupefacenti, A Christmas Carol riesce, ancora una volta, ad esprimere quell’apertura del cuore verso l’altro, verso il povero e il sofferente, quel sentimento di compassione che permette una comprensione amorevole degli eventi che accadono. Il Canto di Dickens racchiude in sé una forza religiosa che si coglie non solo nella semplice simbolicità, ma sopratutto nell’affidare la rappresentazione dell’invisibilità, di quella “inner light” che siamo soliti chiamare coscienza, ad una presenza incorporea, luminescenza senza tempo, in cui la ricognizione della verità coincide con la riconciliazione col mondo e la gioia di un avvento.

venerdì 4 dicembre 2009

Film sotto l’albero


Con la stagione natalizia, ha inizio la guerra al box office. Dalle commedie nostrane ai cartoon innovativi, il mese di dicembre si preannuncia ricco di appuntamenti in sala. Alcuni imperdibili, altri meno.
di Maria Cristina Locuratolo 4 dicembre 2009 09:32

Natale al Cinema. Nel mese più festoso dell’anno i film in uscita fioccano come neve; si va dal classico cartoon per i più piccoli al dramma familiare, passando per gli immancabili cinepanettoni. Non c’è che dire ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le età. Grandi emozioni già in sala con l’atteso Dorian Gray, rilettura del capolavoro immortale di Oscar Wilde, diretto da Oliver Parker, con il bel tenebroso Ben Barnes nelle vesti del protagonista e il raffinato Colin Firth, nel mefistofelico ruolo di Lord Henry. Una classica storia natalizia rivive grazie alla “magia” delle tecnologie 3D: A Chrristmas Carol di Robert Zemeckis ricrea il mondo di Charles Dickens, iniettandogli nuova linfa vitale grazie al talento visionario di casa Disney e alle interpretazioni di un cast di altissimo livello, in primis, l’eclettico Jim Carrey. Ma la factory di Topolino e Company non si ferma qui con le sorprese sotto l’albero: dal 18 dicembre grandi e piccini potranno deliziarsi con la fiaba de La principessa e il ranocchio, che si rifà ai vecchi classici, tra castelli, incantesimi e la bella sognante da conquistare.

Stessa data di uscita, ma ambientazione del tutto diversa, per il cartoon futurista Astro boy, protagonista un giovane robot doppiato da Silvio Muccino. La Columbia e la Sony Pictures propongono, a ridosso del Natale, un cartoon 3D sui generis, il succulento Piovono Polpette, tratto dal libro omonimo per l’infanzia. Per i romanticoni, dal 10 dicembre in sala una storia tutta italiana, Dieci Inverni, film d’esordio di Valerio Mieli con un cast di talenti emergenti, ambientato tra le suggestioni di una nebbiosa Venezia e i gelidi paesaggi di Mosca. Il cinema nostrano non può tradire la tradizione dei cinepanettoni: solita commedia all’italiana con il veterano De Sica, questa volta in trasferta a Beverly Hills, giusto per cambiare titolo e location al film, mentre il “bischero” Pieraccioni ritorna sul grande schermo, riesumando la Monroe nel suo Io&Marilyn, forse ispirandosi al cinofilo Io&Marley, sperando sia di buon auspicio. Chi invece ha voglia di ridere può affidarsi all’humour nero dei fratelli Coen nell’agrodolce commedia A serious man, o all’esotico Eden sentimentale de L’Isola delle Coppie con Vince Vaughn nei panni di attore e sceneggiatore.

Jennifer’s Body potrebbe essere una valida alternativa ai soliti generi natalizi dato che, non solo coniuga il teen movie al thriller paranormale, ma porta la firma della pluripremiata autrice di Juno, la blogger Diablo Cody. La Jennifer in questione è il sex symbol Megan Fox affiancata dall’amato attore della serie cult The O.C., Adam Body. In uscita il 23, il film biografico interpretato dal Premio Oscar, Hilary Swank, Amelia, che ripercorre la vita della celebre aviatrice Amelia Earhart, prima donna a sorvolare l’Oceano Pacifico ed eroina nazionale. Nel cast spiccano tra tutti Richard Gere e Ewan McGregor. Il pre-Vigilia vede in sala un’altra pellicola da segnalare, Brothers, ispirato al film omonimo di Susanne Bier, con Natalie Portman, Jake Gyllenhaal e Tobey Maguire, nel ruolo dei due fratelli del titolo. Direttamente da Baker Street arriva Sherlock Holmes, il leggendario investigatore del Regno Unito, nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle. Diretto da Guy Ritchie, la pellicola vede protagonisti Robert Downey Jr. nel ruolo del detective e il londinese purosangue Jude Law, in quelli del Dottor Watson. Insomma, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Tra un Pandoro e un brindisi, un film, piccolo o grande che sia, a Natale non può mancare.

domenica 29 novembre 2009

Una coppia da Oscar


Nicole Kidman e Charlize Theron presto insieme sul set di un nuovo film, The danish girl. Le due stupende attrici saranno marito e moglie. A sorpresa la Kidman diventerà il pittore danese transessuale Einar Wegener. Ma entrambe le attrici hanno già interpretato in passato personaggi trasgressivi.
di Maria Cristina Locuratolo 29 novembre 2008 14:51

Le sfide non hanno mai fatto paura ai veri artisti. Lo sa bene Nicole Kidman, versatile attrice che rifiuta etichette e convenzioni, regole dello “star system” e ruoli “politically correct”. Del resto l’abbiamo amata nei panni di una prostituta parigina del Moulin Rouge, in quelli di una madre assassina in The Others e di una donna arrivista e vanesia in Da Morire. Il meritatissimo Oscar, arriva d’altronde con The Hours, dove la star australiana è Virginia Woolf, scrittrice britannica dalla personalità controversa con tendenze omosessuali. Criticata per alcune sue scelte, su tutte Fur il film in cui si innamora di un uomo affetto da ipertricosi, Nicole continua a mostrare coraggio, esce fuori dagli schemi.

Ciò che contraddistingue le veri attrici è proprio quella voglia di sperimentare, esplorare nuovi universi narrativi, appropriarsi di personaggi differenti fra loro per farli reali, rendere loro un’anima, una voce, un corpo. Appena reduce dalla calorosa accoglienza che il suo ultimo lavoro Australia, diretto da Baz Luhrmann, ha ricevuto all’anteprima a Sidney, la diva già si prepara per una nuova avventura. A sorpresa dei media e dei fans Nicole sceglie di interpretare Einar Wegener, pittore danese degli anni’20, noto alle cronache per essere stato tra i primi transessuali della storia. Il film, The Danish Girl, è basato sulla vera storia di Wegener e di sua moglie Greta, coppia famosa nell’ambiente artistico di Copenhagen. Einar posò "en travesti" per un dipinto della moglie e da allora il successo cambiò le loro vite. Greta convinse il marito a mostrarsi al pubblico in abiti femminili per semplice gioco o per provocazione; da lì la metamorfosi, Einar cambiò identità, assunse il nome di Lili Elbe e subì un’operazione per cambiare sesso, nel 1931. La notizia fece il giro del mondo, provocò sdegno e stupore negli ambienti più conservatori mettendo in crisi il matrimonio dei due artisti.

Nel ruolo di Greta un altro Premio Oscar: la stupenda Charlize Theron. Anche per la star sudafricana non è una novità interpretare ruoli inusuali e fuori dai cliché per una “bella, alta, bionda col fisico da modella”; in Monster, film per il quale ha vinto l’Oscar, non solo non si è fatta problemi ad imbruttirsi fino a rendersi irriconoscibile ma ha accettato coraggiosamente la parte di una serial killer lesbica, e nell’ultima struggente pellicola The Burning Plain di Guillermo Arriaga ha regalato al pubblico un’interpretazione indimenticabile nel ruolo di una donna annientata dal senso di colpa che è lo spettro di se stessa. Charlize come Nicole ha scelto un modo preciso di vivere il mestiere di attrice, senza trucchi e artifici.

Per la Theron non sarà la prima volta che si troverà a girare scene intime con una donna: è già successo con Penélope Cruz in Gioco di donna, film in cui ancora una volta amore e arte formano un binomio perfetto. Stando alle prime indiscrezioni The Danish Girl sarà diretto dal regista Anand Tucker mentre la sceneggiatura è stata affidata a Lucinda Coxon, che ha già lavorato all’adattamento del romanzo di David Ebershoff 2000Viking. Tra i produttori vi è la stessa Kidman che evidentemente crede molto nel progetto, la quale, pare, presterà il volto ad un altro personaggio dalla sessualità ambigua, la musicista Dusty Springfield, in un film biografico dedicato all’artista bisex. Non ci resta che aspettare e complimentarci con queste regine indiscusse della Settima Arte.

giovedì 12 novembre 2009

Meno male che ci sei


Allegra è un'adolescente con un rapporto problematico con i genitori in crisi. Suo padre è un donnaiolo incallito che ha una relazione con Luisa, una trentaciquenne sognatrice e alla perenne ricerca dell'amore vero.

La vita della teenager subirà una drammatica svolta con la morte dei genitori in volo verso il Kenya, per tentare di ricostruire la loro relazione. Quando il padre viene a mancare, Allegra cerca la donna con cui lui aveva una relazione extraconiugale, per condividere il dolore e conoscere quel lato ignoto della vita del genitore.

Meno male che ci sei di Luis Prieto costituisce un'eccezione in un tempo in cui i teen movies imperversano sul grande schermo, mandando le ragazzine in visibilio con storie d'amore improbabili tra la “Bella” di turno e il vampiro fascinoso, e sogni ad occhi aperti di quattordicenni, alle prese con i primi batticuori tra i banchi di scuola.

La pellicola di Prieto, tratta dal bestseller di Maria Daniela Raineri, non solo si discosta dai modelli cinematografici sopra citati, ma non è facilmente collocabile in un genere preciso.

La storia di Allegra racconta lo scontro generazionale, il dramma di una perdità, la necessità di ricucire gli strappi emotivi, di “mettere insieme i pezzi “per ricostruire un'identità ancora incerta e in frantumi. E' la storia di un trapasso, quello sempre travagliato, dall'adolescenza alla vita adulta, e quello doloroso ed estraniante, dal lutto all'accettazione. E' l'incontro tra due donne di età diverse, Allegra e Luisa, che instaurano un singolare e profondo rapporto d'amicizia attorno a un'assenza, una mancanza. Il primo amore di Allegra non è la fiaba romantica, a cui un certo cinema giovanile ci ha abituati; è un rapporto delicato e fragile, che fa i conti non solo con l'insicurezza dell'età, ma anche con la paura di un ulteriore abbandono, di un altro strappo non ricucibile. Il vuoto che la ragazza si crea involontariamente intorno, finisce per inghiottirla, conducendola in un tunnel di disperazione e autodistruzione. Il personaggio della sempre bravissima Claudia Gerini, è una sorta di Amélie Poulaine tutta italiana, deliziosa nel suo tentativo di colorare la sua vita e quella del prossimo con il suo fiducioso ottimismo, la sua forza di ricominciare, di “rimettere a posto le cose”.

Il film mescola generi e cambia toni, passa dalla commedia al dramma, strappa lacrime e sorrisi, riesce a delineare personaggi veri, così umani da sembrare più di una volta “sbagliati”, ci delizia con le note di Cat Power e dei meno noti The Pains of Being Pure at Heart.

Meno male che ci sei affronta tematiche controverse con una leggerezza tipica dell'adolescenza, sfiorando, a volte, la superficialità, ma sempre esprimendo un sentimento di autenticità, un'idea di famiglia che va oltre quella abituale, svelando la poesia di piccoli gesti e la tenerezza di un amore sbocciato, senza stucchevoli sentimentalismi e Dracula postmoderni.

martedì 3 novembre 2009

Keira Knightley: una stella in ascesa


Resa famosa dalla saga fantasy firmata Dysney, Pirati dei Caraibi, la Knightley sta imponendo la sua bravura ed il suo fascino moderno e antico nel contempo, nel panorama cinematografico odierno.
di Maria Cristina Locuratolo 3 novembre 2008 15:04

Un viso incantevole che ricorda in modo impressionante quello delle colleghe Wynona Ryder e Natalie Portman, un corpo esile, malignamente definito “anoressico” dalla stampa, ed uno sguardo senza tempo che fa di lei sia un’icona della bellezza contemporanea che un’eroina dal fascino remoto. Keira Knightley è “une enfante prodige”: la sua carriera inizia a soli 8 anni con il film tv Royal Celebration. L’occasione d’oro gliela offre George Lucas che le propone il ruolo dell’ancella della regina Amidala in Star Wars: Episodio I – La Minaccia Fantasma, proprio per la straordinaria somiglianza con la Portman. Ma la consacrazione del grande pubblico arriva al fianco del “pirata” Depp (con cui si favoleggiava un flirt) in La Maledizione della Prima Luna in cui Keira, nei panni di Elizabeth Swann, già svela il mistero del suo fascino, da un lato eterea e femminile come una nobildonna d’altri tempi, dall’altro un autentico “maschiaccio” audace e coraggioso. La Knightley dimostra di avere quel “physique du rôle” per interpretare donne aristocratiche del passato; nel 2006 è la protagonista di Orgoglio e Pregiudizio, film che gli vale la nomination agli Academy Awards.

Dal romanzo di Jane Austen ad una pellicola biografica sulla vita di Domino Harvey, ex modella e cacciatrice di taglie, morta per eccesso di droghe; Keira mostra di essere un’attrice versatile, in grado di calarsi nei ruoli più disparati e controversi. Anche se a mio avviso, la classe e l’espressività della Knightley si addicono bene ad atmosfere ed ambientazioni di cui si ha solo vaga memoria: superba in Espiazione di Joe Wright (il regista di Orgoglio e Pregiudizio), cronaca di un amore spezzato dalla crudeltà umana che raggiunge la sua apoteosi nella guerra. Lo stesso regista decide di dirigerla per la terza volta in uno spot commerciale, grazie alla sua classe innata la star viene scelta per rappresentare un marchio elegante e sempre di moda come Chanel.

Penalizzata invece in Seta un film ancora una volta tratto da un’opera letteraria ma che appare patinato e statico, più attento alla ricostruzione storica che allo spessore dei personaggi. E mentre Keira dichiara che non prenderà parte al quarto episodio della saga dei Pirati dei Caraibi (che tanta fortuna le ha portato), i suoi fans la ammirano nelle vesti de The Duchess, presentato al Festival del Film di Roma 2008. La diva ritorna ai suoi amati film in costume, dove questa volta è una donna che in parte rivoluziona la figura femminile settecentesca, attraverso il suo estro creativo nella moda di quei tempi. Attendiamo ora di rivederla nella biografia del poeta Dylan Thomas, The Best Time of Our Lives, dove sarà protagonista di un amore saffico accanto ad una rossa Lindsay Lohan. Pare proprio che questa ragazza dai grandi occhioni scuri sia uscita da un romanzo; forse perchè conserva la grazia e la soave bellezza di eroine letterarie, delicate e forti, capaci di consacrarsi ad un amore o ad una giusta causa per l’eternità.

domenica 11 ottobre 2009

Indimenticabile Paul


A qualche giorno dalla scomparsa del grande Paul Newman ripercorriamo la sua lunga carriera e la sua vita straordinaria all’insegna del cinema, dello sport e della solidarietà.
di Maria Cristina Locuratolo 11 ottobre 2008 17:08

“Gli occhi più belli di Hollywood” si sono spenti venerdì 26 settembre a New Haven, nel Connecticut. E’ scomparsa a 83 anni una leggenda del cinema a stelle e strisce, Paul Newman, malato da tempo di cancro ai polmoni. Di recente aveva lasciato il Weill Cornell Medical Center di New York, dove si sottoponeva alla chemioterapia per andare a morire nel suo letto, come lui stesso aveva detto. Le sue foto in cui lui abbandonava l’ospedale sulla sedia a rotelle avevano fatto il giro del mondo e addolorato i milioni di fans che lo hanno amato e seguito nella sua lunga carriera cinematografica. Oltre 60 film e ben 10 nomination all’Oscar. Cinquant’anni di cinema ed interpretazioni che lasciano il segno: dall’esordio nel lontano 1954 con Il calice d’argento, nel quale prese il posto di Marlon Brando ,alle sue ultime performances, Le parole che non ti ho detto del 1999 e Era mio padre del 2002.

Un mito che ha abbracciato tre generazioni, nato in un mondo di “belli e dannati” come il ribelle James Dean o il possente Marlon Brando, si impone subito a Broadway ma decolla al suo terzo film Lassù qualcuno mia ama dove si fece notare con la sua interpretazione del campione mondiale di boxe Rocky Graziano fino ad arrivare ai successi cult degli anni’50 da La lunga estate calda di Martin Ritt a La gatta sul tetto che scotta di Richard Brooks. Ma il suo primo vero grande personaggio è forse Billy The Kid di Furia Selvaggia di Arthur Penn anche se si rivela un flop commerciale. Il periodo d’oro per Newman sono gli anni’60: da Lo Spaccone di Robert Rossen a Hud il selvaggio di nuovo di Ritt in cui è un egocentrico cowboy moderno, passando per Fast di Eddie Nelson dove Newman veste i panni di un giocatore di biliardo professionista, rabbioso ed inconsapevole che si gioca tutto, fino a quella che per molti è la sua interpretazione meglio riuscita Nick Mano Fredda di Stuart Rosenberg in cui è un ribelle deviante che cerca di evadere dal carcere. In Indianapolis, Pista Infernale di James Goldstone l’attore è ancora una volta uno sportivo, e più precisamente un pilota in crisi coniugale, dando così libero sfogo anche sul set alla grande passione per i motori.

Tra gli anni’60 e ’70 diede vita ad alcuni dei più grandi successi nella storia del cinema: recitò in Butch Cassidy, un western malinconico in cui era un famoso bandito, affiancato dal suo amico fuorilegge Sundance Kid interpretato da Robert Redford, e ne La stangata, celebre commedia brillante vincitrice di ben 7 Premi Oscar che ripropone la coppia vincente Newman-Redford. Sempre di quel periodo è il film di Jack Smight Detective’s story dove Newman è Harper, uno stropicciato investigatore che indaga su una serie di crimini che continuano dieci anni dopo nel sequel diretto da Stuart Rosenberg. Diventata ormai una leggenda del cinema Newman passa dietro la macchina da presa rivelando una vena intimista e un gran talento nel dirigere la moglie Joanne Woodward in una serie di film come La prima volta di Jennifer, Gli effetti dei raggi gamma sui fiori di Mathilde e nel personalissimo Harry & Son. L’eclettico Paul mette a disposizione il suo talento per grandi registi come Sidney Lumet per il quale diventa un avvocato ne Il Verdetto, film pietra miliare del cinema in cui mostra la sua maturità di attore e di uomo indurito dal dolore per la perdita del figlio Scott, morto per overdose.

Nel ’86 arriva l’agognata statuetta Premio alla Carriera e l’anno seguente viene premiato come Miglior Attore Protagonista per Il colore dei soldi ideale sequel de Lo Spaccone, diretto da Martin Scorsese. Grande star e uomo generoso: negli anni ottanta fondò un’azione alimentare specializzata in produzioni biologiche i cui ricavi sono stati devoluti in beneficenza e da tempo impegnato nell’attività a favore della libertà di espressione, di culto e di stampa. Ma anche assiduo sportivo: sua grande passione le corse automobilistiche, in una delle quali arrivò primo nel ’95 risultando il pilota più anziano. Tutto questo era Paul Newman: cinema, solidarietà, motori, amore per la vita e infine malattia. Una vita discreta eppure memorabile, una lunga carriera costellata di successi, passione e carisma sul set come nella vita, un mito non costruito ma vero, immortale come il suo sguardo trasparente impresso sulla pellicola.

giovedì 1 ottobre 2009

Up


Carl Fredicksen, un ex venditore di palloncini di 78 anni, decide di realizzare il suo sogno sogno nel cassetto: visitare le Cascate del Paradiso, in Venezuela. Un sogno che insegue sin dall'infanzia e che ha scandito la sua vita con l'amata Ellie, scomparsa con gli acciacchi dell'età. Grazie a migliaia di palloncini colorati attaccati al camino della sua casa, il burbero e nostalgico anziano prende il volo verso cieli sconosciuti. Carl si ritrova a vivere l'avventura più straordinaria della sua vita; al suo fianco un loquace boy scout di 8 anni, un golden retriever parlante di nome Doug, e Kevin, un uccello variopinto alto 4 metri. A contrastare la missione di Carl sarà proprio il suo mito infantile, l'esploratore Charles Muntz, deciso a trovare un esemplare raro di uccello che corrisponde alla descrizione di Kevin. Questi, in breve, sono gli ingredienti di un capolavoro annunciato: il cartoon tridimensionale Up, nelle nostre sale dal 15 ottobre. Pete Docter, già regista di Monsters & Co. e sceneggiatore di Wall E, realizza un lungometraggio d'animazione decisamente fuori dagli schemi, che coniuga divertimento ed emozione attraversando generi diversi, dalla commeda al film d'avventura, dal sentimentale alla slapstick. Il leit motiv musicale firmato Michael Giacchino, segue il folle viaggio del vecchietto e dei suoi amici in Sudamerica tra imprevisti, misteri e scoperte. Il decimo lungometraggio della Disney Pixar detiene il primato perché è stato il primo cartoon ad inaugurare il Festival di Cannes e il primo film animato ad essere realizzato anche per il formato in proiezione digitale 3D. Ma, sopratutto, Up sa distinguersi perché parla di amicizia, amore, rispetto per la natura, e dei sogni, quelli accantonati in un cassetto che ci danno la forza di sperare e la gioia di vivere. E lo fa con poetica leggerezza, facendoci letteralmente “volare” con la fantasia. Up è anche la storia di una vita, quella di Carl, ripercorsa in rapida sequenza in un lungo flashback; l'infanzia in cui incontra l'anima gemella, il matrimonio e la vita adulta fatta di rinunce e di momenti felici. La storia di un anziano come tanti, che poi è anche una meravigliosa storia d'amore, si racconta e si svela sotto i nostri occhi inteneriti, senza parole, come se sfogliassimo un album di ricordi. Per questo l'ultima fatica della Disney-Pixar è un film adatto a tutte le età che ci lascia anche un messaggio importante: anche se i nostri sogni si rivelano diversi da come li abbiamo immaginati, vale sempre la pena realizzarli.

mercoledì 30 settembre 2009

Con la Pixar si sa, i sogni diventono realtà


I sogni in casa Disney, si sa diventono realtà. Lo diceva Cenerentola, protagonista canterina del cartoon disneyano, forse più celebre, risalente al lontano 1950, il quale, come ogni vera magia sopravvive al tempo e continua a incantare generazione intere di bambini e adulti.

E lo ripete oggi, a distanza di più di cinquant'anni, Carl Fredicksen, il protagonista settantottenne del nuovo film di animazione Up di Pete Docter, già “papà” di Monsters & Co.

La Pixar festeggia il sodalizio artistico con Disney, iniziato nel 1995 con Toy Story, a bordo di una improbabile casa volante, trainata da palloncini colorati, verso il Sud America, in un luogo paradisiaco dove la natura è incontaminata e selvaggia. Un anziano venditore di palloncini cerca di realizzare il sogno di una vita, per tenere fede ad una promessa d'amore solenne alla moglie scomparsa.

Il viaggio si rivela pieno di imprevisti, e con qualche compagno di ventura inatteso: un logorroico boy scout di otto anni, un cane parlante e un uccello esotico in via d'estinzione.

Una commedia esilarante in 3D che diverte ed emoziona con una straordinaria colonna sonora che compenetra nella narrazione e muta secondo gli sviluppi della vicenda che assume via via toni differenti, dal sentimentale all'adventure-movie, dalla commedia alla slapstick. La folle corsa del vecchietto e del bambino verso Le Cascate del Paradiso in Venezuela ha conquistato le platee di Cannes e Venezia, e vinto ogni concorrenza ai botteghini americani.

Il segreto di un tale successo è sicuramente imputabile alla genialità degli autori e del regista, e allo sforzo congiunto di un team creativo che ha impiegato tutte le risorse necessarie per creare qualcosa in cui il pubblico di ogni età potesse identificarsi. Una vita trascorsa e un grande sogno che rimane nel cassetto insieme al rimpianto di non averlo mai realizzato. Andare su, al di là delle nuvole, era il desiderio di Dorothy prima di avventurarsi verso Oz, salvo poi scoprire che "nessun posto è come casa propria". Da qui parte l'idea di un viaggio verso cieli sconosciuti senza lasciare la propria dimora, tempio di ricordi e nido sicuro. Partire verso l'ignoto senza allontanarsi davvero. E' così che il progetto di Up si fa strada negli studi Disney Pixar.

Il decimo lungometraggio della "premiata ditta" riafferma il valore di un cinema che in alcun modo può essere intrappolato in una categoria, ma spazia tra generi diversi e si rivolge a target differenti, abbattendo ogni pregiudizio che vede il film d'animazione come "un prodotto per bambini".

Dopo quindici anni di attività e numerosi successi, la Disney Pixar, scongiurata una separazione anni or sono, è ormai una realtà consolidata, non solo nel mondo dei cartoon, ma nel panorama cinematografico mondiale.

La consegna del Leone d’oro, in occasione di Venezia66, a John Lasseter, Brad Bird, Pete Docter, Andrew Stanton e Lee Unkrich da parte di George Lucas ha voluto celebrare il prestigio e l'importanza di questa unione fortunata. Prima della nascita della Pixar nel 1986, Lasseter lavorava nel team dei grafici nella Computer Animation Division della Lucasfilm, la società fondata da George Lucas nel 1971. Presso la Lucasfilm, Lasseter ha tra l’altro disegnato e animato il cavaliere di vetro di Piramide di paura (Young Sherlock Holmes, 1985), il primo personaggio mai realizzato al computer in un film live-action. Nel 1986 Steve Jobs, già fondatore della Apple, ha rilevato la Computer Animation Division della Lucasfilm, ribattezzandola Pixar, dopo che questa aveva sviluppato un computer ad altissime prestazioni.

Da Toy Story a Alla Ricerca di Nemo, da Ratatouille a Wall E, il più grande studio di animazione del mondo sperimenta l'uso di un linguaggio cinematografico trasversale, coniuga l'innovazione alla forza della narrazione, la qualità dell'immagine alla carica emotiva insita nelle storie raccontate.

Ma il vero punto di forza della Disney Pixar sono i sogni di cui si nutre, tra realtà e magia, al di là di ogni confine di genere, linguaggio e immaginazione. In altre parole, sempre più "Up".

mercoledì 23 settembre 2009

Inglourious Quentin


Tarantino contro Hitler e seguaci in un film che ha suscitato polemiche tra le comunità ebraiche e la critica di tutto il mondo. Una pellicola “politically incorrect” che risente dell’impronta stilistica del cineasta “pulp”.
di Maria Cristina Locuratolo 23 ottobre 2009 10:31

Il cinema sceglie, di volta in volta, tra le infinite storie (im)possibili, un’unica storia. Spesso non traccia un confine netto tra vero e verosimile, ma si perde in un caleidoscopio di immagini e colori, appellandosi alla capacità dello spettatore di sospendere la propria incredulità per un breve lasso di tempo, per abbandonarsi alla magia della proiezione. Vedere un film è un atto di fede, implica un tacito patto tra gli spettatori ed il regista, il pubblico e l’affabulatore. Il cinema può dunque riscrivere la Storia? Non può di certo deviarne il corso, ma può immaginare di poterlo fare. E’ questo, probabilmente, quello che ha pensato Quentin Tarantino mentre girava Bastardi senza gloria. La storia proiettata in una sala cinematografica diventa la Storia; il regista veste i panni di un illusionista che con un abile artificio rende reale ciò che non lo è, o meglio, ciò che non è stato. E per due ore, o poco più, noi gli crediamo.

Tarantino contro i nazisti, in un film che rivendica il diritto di salvare il mondo da quella che è stata la Tragedia per eccellenza. Così il burattinaio Quentin lascia bruciare (letteralmente) le sue marionette, manovrando i fili a suo piacimento. I “Bastardi” in questione, capitanati dal tenente Aldo Raine alias Brad Pitt, sono un gruppo di soldati americani, paracadutati oltre le linee nemiche, che diventano il terrore delle SS. Sono uomini arrabbiati e violenti che uccidono con coltelli, pistole e persino mazze da baseball i nemici tedeschi per poi fare loro lo scalpo. La loro è una personale missione contro il Terzo Reich, una vendetta in nome delle vittime ebree. E’ chiaro che il regista più “pulp” del cinema contemporaneo, non intende darci lezioni di Storia e questo è già facile intuirlo dal titolo goliardico, dal vendicatore Eli Roth, nuovo volto degli horror movies, che spacca i crani dei tedeschi con una mazza da baseball, da Raine/Pitt che incide svastiche con un coltellaccio sulla testa dei nemico sopravvissuti. La pellicola si rifà ad alcuni film anni Settanta come Ilsa e la Belva delle SS e sequel, vuole divertire con scene splatter, gioca con i simboli del nazismo esasperandone la visibilità, e sopratutto utilizza il cinema come espediente narrativo e mezzo per riscrivere la Storia.

Astuto e forse amorale Quentin, perché le ingiustizie e la morte non si riscattano, nemmeno su un piano ideale, con la violenza brutale. Ma, in fondo, al prestigiatore-cineasta interessa solo che il “numero” riesca, che l’artificio sembri magia pura. E Tarantino riesce a tenere incollato lo spettatore alla sedia, anche questa volta, grazie alla potenza visiva e immaginativa del film, ai dialoghi godibilissimi dei personaggi, all’interpretazione di attori straordinari, in primis quella di Christoph Waltz, spietato colonello nazista. La Storia rimane paradossalmente ai margini della storia; conta il dettaglio e lo stile. Molti critici hanno condannato su un piano etico il regista, accusandolo di ignoranza, miopia, negazionismo e scarso rispetto nei confronti della memoria storica e della Shoah, ma io credo che Tarantino non si sia posto problemi di ordine morale mentre pensava ai suoi inglourious basterds. Non voleva fare un film storico, ma immaginare una trama verosimile che intrattenesse il suo pubblico in cui le vittime diventassero carnefici, senza infamia e senza gloria.

lunedì 14 settembre 2009

Visioni di guerra e sogni di libertà conquistano Venezia


L’urlo di dolore e paura di Samuel Maoz squarcia il cielo di Venezia e si trasforma nel ruggito di un Leone (d’oro).
di Maria Cristina Locuratolo 14 settembre 2009 16:41

Un film “bello ed impegnato” conquista il Leone d’Oro della 66esima Mostra cinematografica veneziana: si tratta di Lebanon dell’israeliano Samuel Maoz, opera che punta la cinepresa sui tragici fatti della guerra del Libano nel 1982, quasi fosse un’arma per svelarne segreti e retroscena, paure e orrori. Lebanon non è un semplice war-movie di propaganda o antimilitarista, ma piuttosto una testimonianza del regista stesso, sopravvissuto alla tragedia della guerra, alle morti fisiche e spirituali che essa porta con sé, al dolore lacerante di un’esperienza che priva l’uomo della propria umanità e lo riduce a preda o vittima. Leone d’argento per un altro film coraggioso Women without Men dell’iraniana Shirin Neshat, tratto dall’omonimo romanzo di Shahrnush Parsipur. Donne senza uomini verso un sogno di libertà, una presa di coscienza che equivale ad una vera e propria rinascita, contro ogni obbedienza cieca, ogni negazione dell’essere donna, in un mondo in “bianco e nero” che oscura e mortifica la bellezza quasi pittorica e la grazia di una femminilità in fermento.

Viene da chiedersi se la scelta dei giurati è stata in qualche modo condizionata dalle tematiche affrontate dalle pellicole premiate: due film impegnati, politici, toccanti e coraggiosi che puntano dritto al cuore della gente, forti nel messaggio quanto impeccabili nella forma. Il cinema italiano non ha convinto: nessun premio per Baarìa di Giuseppe Tornatore, che pare fosse piaciuto molto a Ang Lee, né per gli altri film nostrani in concorso. La Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, è stata assegnata all’attrice russa Ksenia Rappoport, protagonista de La doppia ora di Giuseppe Capotondi. La Coppa Volpi per l’interpretazione maschile viene vinta da Colin Firth, intenso protagonista di A single man, opera prima di Tom Ford. Il Premio Speciale della Giuria è stato conquistato dall’unica commedia in concorso, Soul Kitchen di Fatih Akin che in sala ha strappato più di qualche sorriso a pubblico e giuria. Tra i premi tecnici Osella per la miglior scenografia a Sylvie Olivé per Mr. Nobody di Jaco Van Dormael e Osella per la migliore sceneggiatura a Todd Solondz per il “dolceamaro” Life During Wartime di cui ha firmato anche la regia.

Tra i premi delle sezioni collaterali, premio Orizzonti a Engkwentro di Pepe Diokno, che si è aggiudicato anche il premio De Laurentis come migliore opera prima, e premio Orizzonti Doc a 1428 di Du Haibin. Menzione Speciale a Aadmi ki aurat aur anya kahaniya (The man’s woman and other stories) pellicola indiana di Amit Dutta. Per la sezione collaterale Controcampo Italiano è stato premiato il film Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli. Mentre la menzione speciale è toccata a Negli occhi di Daniele Anzellotti e Francesco Del Grosso. Tra i cortometraggi, il vincitore è Eersgeborene (First Born) di Etienne Kallos e il nuovissimo premio Persol 3-D per il miglior film 3-D stereoscopico dell’anno è andato all’horror The Hole di Joe Dante. In una kermesse di pochi alti e molti bassi, di film italiani stantii e pellicole fuori concorso degne di nota, solo un film è riusito a lasciare dentro me un segno indelebile: A single man di Tom Ford, che lungi dall’essere unicamente una storia d’amore omosessuale, è un’opera che tocca le corde dell’anima, il percorso di una intera vita di un uomo qualunque che si esaurisce in ventiquattro ore. Il ritratto intimo e poetico di “a single man” in un mondo dove tutto è grazia e bellezza, ma anche dolore e morte, in cui gli attimi di un’esistenza si rincorrono nella memoria come istantanee di un tempo che scorre, prezioso e irripetibile. E la morte non è che una danza verso “il salto” finale che chiude il cerchio e ricongiunge gli amanti.

Forse meritava qualcosa in più anche il visionario Mr.Nobody che porta a casa solo un’Osella, il quale si è distinto, a mio parere, non tanto per l’originalità della storia, ma per la commistione di generi e stili, la freschezza, la sperimentazione, l’anticonvenzionalità dei ruoli e non ultima la scelta delle musiche dalla Casta Diva della Callas a Satie, passando per il Pavane di Fauré e Where is My Mind dei Pixies. Anche l’umanità messa a nudo da Solondz in Life during Wartime meritava maggiore attenzione: una rappresentazione tragica e comica delle debolezze umane, dei conflitti personali che si instagliano nella Storia di guerre che decidono il destino di intere nazioni, dei fantasmi che si agitano dentro di noi e il perdono necessario alla sopravvivenza di se stessi e dell’altro.
Mi auguro almeno che i nostri cineasti abbiano imparato la lezione, trasformare un film in un’opera d’arte necessita di una buona dose di coraggio, umiltà, e sopratutto apertura al futuro, al mondo che ci rappresenta oggi.

venerdì 11 settembre 2009

Standing ovation per A Single Man


Davvero tante le pellicole degne di attenzione in questi ultimi giorni della mostra. Ma tra tutte si distingue e brilla l’opera prima di Tom Ford: A Single Man
di Maria Cristina Locuratolo 11 settembre 2009 16:29

VENEZIA - Il sipario sta per calare anche sulla 66 mostra veneziana, ma il cinema non smette di stupire e trasmettere emozioni. Anzi, pare proprio che in questi ultimi giorni siano state presentate le opere più interessanti e raffinate di questa edizione. A cominciare dalla commedia di Fatih Akin Soul Kitchen, un film divertente, a tratti grottesco, tra musica e cucina e l’anima greca. Meno incisiva la pellicola Al Mosafer (The Traveler) di Ahmed Maher che ci regala la storia di una vita di in tre momenti clou della stessa, ma appare debole da un punto di vista narrativo.

La doppia ora è il thriller opera prima di Giuseppe Capotondi, un film che ha un’energia propria e sa distinguersi nel panorama cinematografico italiano spesso piatto e poco rappresentativo della contemporaneità. Grande entusiasmo per Mr. Nobody, un lungometraggio pulp e visionario, antinarrativo, onirico , curato nei minimi dettagli ,che ricorda film memorabili come Sliding Doors, Donnie Darko, American Beauty e il più recente Il curioso caso di Benjamin Button, con l’eccentrico Jared Leto, al bivio tra moltiplici vite possibili, e musiche che compenetrano nella narrazione e conferiscono un valore aggiunto al film stesso. Ma la vera sorpresa di quest’anno, non solo a mio parere, è l’opera prima di Tom Ford, stilista e designer di fama mondiale, alla sua prima esperienza cinematografica.

A single man è una pellicola sublime, intima e personale, che tratta amore, dolore, paura, solitudine, emarginazione con delicatezza, gusto, poesia. Un film che ci offre uno sguardo privilegiato sull’esistenza attraverso l’Epifania del protagonista che scopre la bellezza della vita proprio quando fa esperienza della morte attraverso il lutto e la malattia. Un Colin Firth grandioso affiancato dallo stesso Ford e da una splendida Julianne Moore. Un film con un raffinato senso estetico, ma che non è un mero esercizio di stile. Un capolavoro assoluto, accolto con una standing ovation in sala stampa. Il Leone d’oro è già stato vinto.

giovedì 10 settembre 2009

Il soldato speciale Clooney sconvolge il Lido


Sbarcano al Lido i registi Disney Pixar, Matt Damon, Ewan McGregor e George Clooney che monopolizza l’attenzione dei media e dei fans. I film fuori concorso convincono di più di quelli in lizza per il Leone d’oro e il cinema italiano non decolla.
di Maria Cristina Locuratolo 10 settembre 2009 09:56

VENEZIA - Emozioni a go-go in questa seconda settimana al Lido. Il Palazzo del Cinema si riempe di palloncini colorati in onore di Up di Pete Docter, ultima fatica del team creativo della Disney Pixar, il quale ha accolto calorosamente in Sala Grande pubblico e giornalisti. Il cartoon in 3D è la tenera e divertente storia di un uomo settantenne con un sogno nel cassetto che lo accompagna dall’infanzia: esplorare le Cascate del Paradiso in Venezuela. E si sa, in casa Disney ogni sogno può diventare realtà, anche il più improbabile, e così il vecchietto parte verso l’America del Sud con una casa volante trasportata da tanti palloncini colorati. A fargli compagnia in questo magico viaggio, poetico e leggero proprio come un palloncino, un bimbo logorroico, un cane parlante e un uccello variopinto che adora il cioccolato.

Incanta ancora il grande “affabulatore” Michael Moore con la sua “storia d’amore” Capitalism: il cineasta spara su tutti dosando bene sarcasmo e umorismo, da Bush ai Ministri del Tesoro fino alla banca d’affari Goldman Sachs. Fuori Concorso il Soderberghiano The Informant! con uno straordinario Matt Damon, ingrassato e baffuto per l’occasione, nei panni del “menzognere, falsario, opportunista, camouflageur” Mark Withacre, un uomo arguto e irriducibilmente bugiardo che inventa storie e si pone domande esistenziali bizzarre, su quale sia la frase da dire prima di morire o sul perché gli orsi polari possiedano una intelligenza tale da coprirsi il naso nero per mimetizzarsi con l’ambiente circostante. Film in concorso Questione di punti di vista di Jacques Rivette, un’opera intrisa della magia del circo con funamboli in equilibrio sul proprio destino simili, a detta del protagonista Sergio Castellitto, a principesse sofferenti che chiedono di essere liberate mascherate da draghi terrificanti.

Grande fermento per la coppia più esilarante del festival Ewan McGregor- George Clooney con il film scoppiettante (peccato sia fuori concorso) The Men Who Stare at Goats di Grant Heslov: uno scoop cambia per sempre la vita del reporter Bob Wilton che intraprende un viaggio avventuroso verso l’Iraq con un soldato “speciale” dai poteri psichici fuori dal comune, Lyn Cassady, un uomo dalle doti paranormali, farcito di lsd e cultura new age, dall’anima hippie e lo sguardo letale, tanto da fermare il cuore di una capra in pochi secondi. L’arrivo di Clooney scatena fans e giornalisti; durante la conferenza stampa, una Iena improvvisa uno show, urla e si spoglia, rimane in boxer, con la scritta “George, choose me”, alludendo alla presunta omosessualità dell’attore rivelata ambiguamente alla rivista People, qualche settimana fa, dall’amico Brad Pitt.

Fuori Concorso anche Brooklyn’s Finest di Antoine Fuqua, che recupera idealmente e fisicamente il bel tenebroso Ethan Hawke dal suoTraining day, gli affianca Richard Gere e Don Cheadle per raccontare le vite di tre poliziotti al bivio che convergono in realtà in un’unica vita, un’unica via tra i buoni e i cattivi. In concorso il war-movie Lebanon dell’israeliano Samuel Maoz: la guerra è quella del 1982, tra Israele e Libano, il punto di vista è quello di quattro ragazzi ebrei su un carro armato. Un film che privilegia l’aspetto voyeuristico della guerra, attraversandola con lo sguardo, per viverla “da dentro”. Francesca Comencini porta in Concorso al Lido Lo spazio bianco, il dramma di una madre interpretata da Margherita Buy, una storia dal tocco delicato e femminile, tratta dal romanzo omonimo di Valeria Parrella. La trama è insolita e toccante: una donna attende il ritorno alla vita o la morte della sua creatura, nata prematuramente e intrappolata in un’incubatrice, in un limbo fatto di speranza che ha il colore bianco del nulla e di un destino che chiede solo di essere scritto.

Ritorna il ’68 con Il grande sogno di Michele Placido, opera in concorso, che ripercorre l’epoca che fu attraverso ricordi ed esperienze evidentemente personali del regista. Ne esce un quadro un po’confuso, nostalgico che non aggiunge nulla di nuovo.Sarà per questo che in conferenza stampa a Placido si chiede di rappresentare l’Italia di oggi? Forse il passato, già ampiamente rappresentato con i suoi miti e i suoi cliché dai cineasti italiani, ha già fatto storia e i sogni come la realtà mutano, si evolvono e chiedono di essere rappresentati per guardare al futuro e a ciò che esso può offrire.

domenica 6 settembre 2009

Odissee veneziane


Visioni sotto effetto di coca o grazie ad apparizioni miracolose, luoghi dell’anima alla ricerca di un tempo, un destino, un ricordo. Outsiders, infermi, combattenti che cercano di mettere ordine al caos dell’esistenza.
di Maria Cristina Locuratolo 6 settembre 2009 14:07

Per alcuni è il miglior film in concorso visto finora alla 66esima edizione del festival veneziano: Bad Lieutenant: Port of call New Orleans sancisce il ritorno (gradito) di Werner Herzog al Lido. La pellicola, una sorta di remake de Il cattivo tenente di Abel Ferrara è un viaggio psicotico nell’inferno personale di uno sbirro drogato, senza nessuna speranza di redenzione, interpretato magistralmente da Nicolas Cage, già protagonista del film di Ferrara. Nel cast anche Eva Mendes, Val Kilmer e Michael Shannon. Herzog ritrae attraverso visioni distorte e allucinazioni deliranti un outsider dal destino già segnato, in cui non si intravede né la possibilità di una reintegrazione nel tessuto sociale né il recupero di un di contatto con la realtà, e cosa peggiore, un ricongiungimento con l’esistenza stessa. In conferenza Herzog ha affermato di essere contro la cultura della droga, di non averne mai fatto uso e a chi gli ha chiesto di Abel Ferrara, lui ha risposto che in un futuro prossimo si incontreranno, magari in un pub a bere qualcosa.

Altro film in concorso, Lourdes di Jessica Hausner, un viaggio “della speranza” di una donna affetta da sclerosi multipla che guarisce miracolosamente grazie alla fede, suscitando sentimenti contrastanti negli altri pellegrini. Lourdes è qui sì un luogo fisico, ma anche e soprattutto un luogo spirituale, dell’anima, attraverso cui Christine, la protagonista interpretata da Sylvie Testaud, entra in contatto con la parte più segreta di sé, con i misteri della fede e dei rapporti con l’altro. Nella Taiwan degli anni Cinquanta si svolge invece Lei Wangzi (Prince of Tears) di Yonfan ; film visivamente incisivo, dal forte messaggio politico che ben si colloca nella carriera del regista, un cineasta fuori dagli schemi, dalla personalità controversa, che non ha paura di avventurarsi in lavori facilmente soggetti a critiche e censure per tematiche e potenza visiva.

La censura, stavolta, è toccata ad un altro film in rassegna, si tratta di Francesca del romeno Bobby Paunesco ; in seguito alla diffida di Alessandra Mussolini e la querela da parte del sindaco di Verona, Flavio Tosi, per le parole offensive rivolte loro nell’opera, i responsabili del Circuito Cinema Comunali di Venezia hanno deciso oggi di sospendere le proiezioni locali del film "in presenza di specifica azione legale di parte e su richiesta della casa di distribuzione Fandango". Oggi, invece, è stata la volta del francese Persécution di Patrice Chereau con Charlotte Gainsbourg, in cui un giovane, Daniel, viene perseguitato da un uomo che si intrufola nella sua vita ovunque e ad ogni ora. Amore e ossessione che lo stesso Daniel nutre nei confronti di una donna che ama ricambiato.

Film fuori concorso è Prove per una tragedia siciliana di Roman Paska e John Turturro. Dopo Baaria di Tornatore un’altra dichiarazione d’amore alla Sicilia. Lo sguardo è quello di un uomo che ritorna nella sua cara isola, dopo essersi trasferito in America (i nonni materni di Turturro erano di Palermo e di Aragona, in provincia di Agrigento) per riconnettersi con il proprio passato. Una ricerca a ritroso, nel tempo e nello spazio che crea un ponte tra memoria e presente, tra gli Stati Uniti e la Sicilia. Un’idea che Turturro aveva in mente già da tempo e che ora ha preso forma e vita in questo film. Domani grande fermento per Up di Pete Docter, ultima stra-ordinaria fatica firmata Disney Pixar e per il Leone d’oro alla carriera a John Lasseter, consegnato eccezionalmente da George Lucas.

Storie di umanità al limite


Il viaggio attraverso umanità disperate e da ricomporre, apocalissi nucleari ed interiori: questo il tema portante della seconda giornata a Venezia.
di Maria Cristina Locuratolo 6 settembre 2009 13:58

VENEZIA - Secondo giorno per la kermesse veneziana:il "fil rouge" che percorre le proiezioni di oggi sembra essere il viaggio attraverso umanità disperate e da ricomporre, apocalissi nucleari ed interiori. Pellicola d’apertura il toccante The Road dell’australiano John Hillcoat, con Viggo Mortensen, Charlize Theron, Guy Pearce, Robert Duvall e il giovanissimo talento Smit - McPhee: un film dai toni e dai paesaggi gelidi, tratto dal romanzo scioccante di Cormac McCharty, che trae la sua forza non tanto dalla condizione estrema vissuta dai suoi personaggi, ma dalla relazione di un padre e di un figlio senza nome, immersi in una natura selvaggia quanto ostile, in terre glaciali, devastate da una apocalisse nucleare.

Altre vite in bilico, altri drammi umani, quelli messi abilmente in scena da Todd Solondz nel suo Life during the Wartime. Anche questa una storia che verte sulle relazioni umane, sulla necessità o meno del perdono, sull’inevitabilità del dolore attraverso il ricordo di un passato che incombe sul presente futuro come una minaccia perenne e si oppone ad ogni possibilità di futuro. Il quadro che ne esce fuori è un’America dal volto grottesco che tenta di ricucire gli strappi, di rimarginare le ferite, sullo sfondo di una guerra che non appare meno terribile di quella che si combatte quotidianamente in qualsivoglia "rispettabile" casa.

Da segnalare il film italiano Le ombre rosse di Francesco Maselli e l’egiziano Ehky ya Scherazade di Yousry Nashrallah. Nella sezione Orizzonti troviamo Great directors della regista grec0-americana Angela Ismailos: dieci protagonisti del cinema internazionale, da Bertolucci a Lynch, si raccontano davanti alla macchina da presa, ripercorrendo i sogni, i momenti di gloria e le sconfitte di percorsi esistenziali e artistici che hanno come unico punto di contatto l’amore per la Settima Arte. Fila lunghissima a sorpresa davanti alla Sala Perla per Videocracy dell’italo-svedese Eric Gandini, pellicola che getta uno sguardo d’insieme, critico ma nel contempo distaccato al mondo televisivo dell’Italia contemporanea.

venerdì 4 settembre 2009

Uno sguardo da Leone


Scatti d’autore, spezzoni di pellicole e sequenze tratte da capolavori. Il mito di Sergio Leone rivive attraverso due mostre a lui dedicate, con la partecipazione creativa di artisti italiani che hanno reso grande il nostro cinema.
di Maria Cristina Locuratolo 4 novembre 2009 11:58

Roma omaggia una delle pietre miliari del cinema italiano e mondiale, Sergio Leone, attraverso uno sguardo inedito che ripercorre i momenti salienti della sua carriera, a ottant’anni dalla nascita e a vent’anni dalla scomparsa del regista. Una mostra curata da Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, resa possibile anche grazie al prezioso contributo della famiglia Leone e al talento creativo di due artisti italiani di fama mondiale, i Premi Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Un evento, prodotto da Equa, che ha voluto ricreare nello spazio espositivo dell’Auditorium Parco della Musica, il mondo e l’immaginario del cineasta dei leggendari spaghetti western. La mostra si apre sotto lo sguardo di Sergio Leone, ritratto dalla figlia Francesca, e continua nel buio di una sala cinematografica dove 500 fotografie scattate dall’artista Angelo Novi, suddivise in tre proiezioni, tracciano il percorso artistico del regista, dagli esordi ai film che hanno fatto epoca. La prima serie di proiezioni racconta gli anni ,dal 1947 al 1961, in cui Leone lavora come aiuto regista per autori italiani ed internazionali, maturando oltre ad un estro creativo innato, una conoscenza tecnica del set.

Il primo film di Leone, Colosso di Rodi, realizzato in Spagna, ottieni risultati insperati, nonostante il budget limitato. Da lì una carriera sempre in ascesa, come dimostra la seconda tranche di proiezioni, in cui vengono svelati i segreti del set di Leone, la cura dei dettagli, il lavoro incessante, la bellezza delle immagini. La terza serie di proiezioni vuole invece mostrare i corpi, gli sguardi, le figure ricorrenti dell’universo leonino, sottolineando la loro perfezione e unicità. La seconda parte della mostra è accompagnata dalla musica del maestro Ennio Morricone, partner artistico di Leone, una sorta di alter ego musicale del cineasta che ha tradotto in note le immagini di film epocali, esaltandone la potenza visiva e la comunicatività. E sulla scia di colonne sonore indimenticabili, lo spettatore può ammirare il camion di una troupe che ha appena scaricato uno scrigno, realizzato da Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, da cui idealmente si riversano spezzoni delle grandi opere di Leone.

Una mostra per ricordare e omaggiare un regista che ha ridato vita a un genere in declino per poi rivoluzionarlo, visivamente e narrativamente. Un West realistico e povero, abitato da personaggi violenti e da figure avvolte da un’aura mitologica, tanto da apparire come dèi: Clint Eastwood, Claudia Cardinale, Robert De Niro, Gian Maria Volonté sono solo alcuni dei volti catturati dalla cinepresa di Leone, volti diabolici o angelici, brutali o pieni di grazia. Un cineasta che non è mai passato di moda, amato e considerato un punto di riferimento da autori contemporanei come Quentin Tarantino; da Per un pugno di dollari alla trilogia de Il buono, il brutto , il cattivo fino alle parabole conclusive di C’era una volta il West, un’opera monumentale che racchiude l’intera epopea western, e C’era una volta in America che racconta i luoghi da lui idealizzati, Sergio Leone si è contraddistinto per la cifra stilistica e l’impronta poetica, per quello “sguardo inedito” che fa di lui il maestro non solo di un genere, ma di un modo di fare cinema.

Dal 29 ottobre 2009 al 30 Gennaio 2010, un’altra mostra fotografica dedicata al regista sarà aperta al pubblico presso lo spazio espositivo di Cinecittà 2 Arte Contemporanea: 100 scatti inediti, non proiettati ma esposti in maniera tradizionale, che portano ancora la firma di Angelo Novi, immortalano la carriera e la vita di un simbolo autentico della cinematografia italiana.

giovedì 3 settembre 2009

Venezia, buona la prima


Inizio in grande stile per la mostra veneziana: esordio tutto italiano con Monicelli e Tornatore, passerella da kolossal e il sequel dell’horror-movie firmato Balaguerò.
di Maria Cristina Locuratolo 3 settembre 2009 12:02

VENEZIA - Venezia ai nastri di partenza. Dopo la serata pre-inaugurale dedicata alla versione restaurata de La Grande Guerra di Mario Monicelli, il Lido ha accolto Giuseppe Tornatore e il suo Baaria con ben quaranta attori del film al seguito, in primis Francesco Scianna e la modella Margaret Madé. Oltre al numerosissimo cast della prima pellicola in concorso di quest’anno, hanno inaugurato il red carpet volti noti al grande e piccolo schermo, da Beppe Fiorello a Raoul Bova, da Simona Ventura a Eva Mendes. Kolossal ambientato nella Sicilia del passato, il film di Tornatore racconta attraverso tre generazioni la storia di un piccolo paesino, Bagheria, abbracciando un arco di tempo che va dagli anni Venti fino ai giorni nostri.

A suggellare la storia, a metà tra realtà e leggenda, la musica del maestro Ennio Morricone che ha accompagnato il regista e il resto del cast in mostra.Baaria può essere descritta come un’opera fortemente personale, “divertente e malinconica, fatta di grandi amori e travolgenti utopie”, usando le parole dello stesso regista. Il film recitato rigorosamente in dialetto siculo è stato girato in Tunisia, in un antico sobborgo di Tunisi dove è stata ricostruita minuziosamente la vecchia Bagheria.

Per gli appassionati dell’horror, invece, torna in Laguna a distanza di due anni, Jaume Balaguerò con Rec 2, uno zombie-movie di produzione ispanica che ha terrorizzato non poco pubblico e critica. Questa volta, la squadra speciale dell’esercito spagnolo è alle prese con un palazzo invaso da inquilini trasformati in morti viventi da un terribile virus; la storia non si distingue certo per originalità, ma il brivido è assicurato. Tra le pellicole più attese nella prima settimana ci sono il nuovo film di Michael Moore, Capitalism: a love story; The road di John Hillcoat, con Viggo Mortensen e Charlize Theron e il remake di Werner Herzog, Bad Lieutenant, con Nicolas Cage.

mercoledì 26 agosto 2009

Venezia, che festival!


A pochi giorni dalla 66esima Mostra cinematografica veneziana, vi presentiamo gli eventi imperdibili, le proiezioni in gara per il Leone d’oro e quelle fuori concorso. Ospiti illustri, graditi ritorni, tanta America, pellicole nostrane di oggi e di ieri e gli immancabili del Lido come Ang Lee e George Clooney.
di Maria Cristina Locuratolo 26 agosto 2009 09:55

Inizia il countdown per la 66esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, la kermesse italiana più “glamorous” dedicata al grande schermo. L’evento, come da tradizione si svolgerà al Lido veneziano, dal 2 al 12 Settembre; a fare “gli onori di casa” quest’anno vi è una madrina d’eccezione, l’attrice e produttrice Maria Grazia Cucinotta, che aprì la Mostra di Venezia ben 15 anni fa come protagonista de Il Postino di Michael Radford, in ricordo di Massimo Troisi. Ad aprire il festival, dopo la cerimonia inaugurale, il film in concorso Baarìa di Giuseppe Tornatore, ma davvero tante sono le sorprese che Venezia ha in serbo per gli appassionati della Settima Arte. Per iniziare, la serata pre-festival, martedì 1 Settembre alle 21 presso l’Arena di Campo San Polo, durante la quale sarà proiettato La Grande Guerra di Mario Monicelli del 1959.

E poi una serie di incontri, iniziative ed eventi come la prima mondiale di Toy Story e Toy Story 2 in 3D, in occasione della consegna del Leone d’oro alla carriera da un cineasta davvero “stellare”, George Lucas, a John Lasseter, o come la proiezione in esclusiva di alcune sequenze del cartoon natalizio The Princess and the Frog ed un irrinunciabile master class con il team creativo della Disney Pixar. Altro riconoscimento, altro nome leggendario del cinema mondiale: Silvester Stallone riceverà il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker Award, recentemente istituito dalla Mostra veneziana, e organizzato in collaborazione con Jaeger-LeCoultre, dedicato a una personalità che ha lasciato un segno nel cinema contemporaneo.

In precedenza il premio è stato assegnato a Takeshi Kitano, Agnès Varda e Abbas Kiarostami. I film in programma sono suddivisi in sei sezioni della selezione ufficiale Venezia 66, Fuori Concorso, Orizzonti, Controcampo Italiano, Corto Cortissimo, Questi Fantasmi, più due sezioni autonome, Settimana Internazionale della critica e Giornate degli autori.Le personalità chiamate a far parte della Giuria internazionale Venezia 66, presieduta dal regista, due volte Leone d’oro Ang Lee, sono: l’attrice francese Sandrine Bonnaire, la cineasta italiana Liliana Cavani, il regista statunitense Joe Dante, il regista e sceneggiatore indiano Anurag Kashyap, il cantautore, scrittore e regista Luciano Ligabue, il regista russo Sergei Brodov.

Ben quattro i film italiani in concorso, oltre al già citato Baarìa troviamo: La doppia ora di Giuseppe Capotondi, Lo spazio bianco di Francesca Comencini e Il grande sogno di Michele Placido. Dopo la polemica dell’anno scorso sulla mancanza di americani in mostra, Venezia si rifà puntando su una sestina promettente: Bad Lieutenant: Port of Call of New Orleans di Werner Herzog con un cast ben nutrito di star, Nicolas Cage, Eva Mendes, Val Kilmer e Michael Shannon; Capitalism: a Love Story di Michael Moore; Survival of the Dead di George Romero per gli amanti del brivido; A single man di Tom Ford con Colin Firth, Julianne Moore e Matthew Goode; Life during wartime di Todd Solondz e The road di John Hillcoat con Charlize Theron, habitué del Lido, Viggo Mortensen, Guy Pierce e Robert Duvall. Nella categoria Orizzonti, inoltre, saranno presentati 24 lungometraggi, di cui 22 mostrati per la prima volta: per l’Italia Tris di donne e a abiti nuziali di Vincenzo Terracciano e Il colore delle parole di Marco Simon Puccioni.

La Francia è la più rappresentata tra i Paesi europei, con 4 film, tutti in Concorso: ritorna Patric Chéreau con la nuova opera Persécution , interpretata da Charlotte Gainsbourg e Romain Duris; Jacques Rivette presenta la coproduzione franco-italiana 36 vues du Pic Saint-Loup; Claire Denis partecipa con White Material, ambientato in una piantagione di caffè, protagonista Isabelle Huppert; infine il belga Jaco van Dormael porta sul grande schermo il suo progetto più folle, la coproduzione franco-belga Mr Nobody. Quattro titoli anche per la Germania, di cui due in Concorso: Soul Kitchen di Fatih Akin; Women Without Men dell’artista iraniana Shirin Neshat , che consiste in 5 video installazioni che vanno a formare un unico film; Zarte Parasiten di Christian Becker, Oliver Schwabe e Villalobos di Romuald Karmakar sono le altre produzioni tedesche, entrambe in Orizzonti.

L’Austria è invece presente in Concorso con Lourdes, terzo lungometraggio di Jessica Hausner e con Totò di Peter Schreiner nella sezione "Orizzonti". Il giovane regista danese Nicolas Winding Refn porta a Venezia il suo sesto film: Valhalla Rising. In Orizzonti troviamo l’olandese Frank Scheffer, che firma un documentario sul compositore franco-americano Edgard Varèse (1883-1965) intitolato The One All Alone e il rumeno Bobby Paunescu, regista di Francesca. La Svizzera è in lizza con Stefan Knuchel ed il suo Hugo en Afrique in Orizzonte Eventi mentre la videoartista Pipilotti Rist presenta l’originale Pepperminta.
I cineasti spagnoli Jaume Balagueró e Paco Plaza tornano dopo due anni a terrorizzare gli spettatori di Venezia con REC 2 (Fuori Concorso), mentre Pere Portabella, regista indipendente e membro della giuria di Orizzonti, presenta in anteprima il film Mudanza, dedicato al poeta Federico Garcia Tra gli “aficionados” del Lido ritroviamo il bel George (Clooney, e chi se no) interprete del film Fuori Concorso, The Men who stare at goats di Grant Heslov, con un cast da capogiro: Ewan McGregor, Jeff Bridges e Kevin Spacey. Attesissimo dai fan di Jason Bourne, il bel tenebroso Matt Damon, protagonista di The Informant!, pellicola fuori concorso di Steven Soderbergh. Venezia chiama e Hollywood risponde: quest’anno il Lido potrebbe vedere il ritorno dell’intramontabile Richard Gere e subire il fascino conturbante di Ethan Hawke nel film Brooklyn’s Finest di Antoine Fuqua. Pare proprio che ne vedremo delle belle.

sabato 27 giugno 2009

Il "mondo capovolto" di Henry Selick e Neil Gaiman


Nata come una favola della buonanotte dello scrittore Neil Gaiman alla sua bambina, Coraline diventa un romanzo di successo. Ora il libro è un film stop-motion in 3D firmato Henry Selick.
di Maria Cristina Locuratolo 27 giugno 2009 21:05

La magia non è un terreno inesplorato per Henry Selick. Lo aveva intuito Tim Burton, quando negli anni’90, gli ha "consegnato" i suoi incubi di plastilina, affidandogli la regia di Nightmare Before Christmas. Il suo nuovo lavoro, Coraline e la porta magica, combina la sua visionaria immaginazione al talento narrativo dell’autore Neil Gaiman ed una tecnica di animazione tradizionale come la stop-motion alla fotografia stereoscopica in 3D. A doppiare i personaggi di plastilina nella versione originale Dakota Fanning (Coraline), Teri Hatcher (la madre), John Hodgman (il padre). Mentre le musiche eccezionali, che conferiscono un’atmosfera ancora più incantevole alla fiaba dark, sono quelle di Bruno Coulais e They Might Be Giants.

Coraline è una storia fuori dagli schemi che rielabora molti simboli ed elementi narrativi dei classici, tramite un linguaggio nuovo e dei personaggi assolutamente contemporanei. La protagonista è una undicenne dei nostri giorni, sveglia, intraprendente e arguta. Quando con i suoi genitori si trasferisce dal Michigan in Oregon, in una singolare casa rosa, inizia ad avvertire la mancanza dei suoi amici. Inoltre, i suoi genitori sono sempre occupati con il loro lavoro e non le prestano la dovuta attenzione. Coraline cerca di trovare qualcosa di eccitante nel suo nuovo ambiente. Stringe amicizia con un suo coetaneo, Wybie Lovat, un tipo chiaccherone e insolente che possiede un gatto selvatico, e va a fare visita ai suoi vicini più grandi, la Signorina Spink e la Signorina Forcible, due egocentriche attrici in decadenza e l’eccentrico russo Signor Bobinsky..

Dopo questi strani incontri, Coraline dubita seriamente che in questa sua nuova casa ci possa essere qualcosa di davvero intrigante per lei fino che scopre una piccola porticina, in apparenza murata... La porta, in realtà, come la tana del Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie, o gli incavi degli alberi di Nightmare Before Christmas, è l’accesso attraverso cui Coraline scoprirà una versione alternativa della sua vita e dell’esistenza in generale. Un altro mondo molto simile alla sua vita reale, ma in apparenza molto migliore. Attraverso una chiave segreta, porticine, cunicoli, teiere che fischiano all’ora del thé, dolci invitanti, giardini paradisiaci ricchi di fiori e di colori, Coraline vivrà un incanto, un’alchimia tra realtà e sogno, una dimensione “altra”.

La piccola inizia a pensare che questo Altro Mondo le appartiene più del suo, così come l’Altra Madre e l’Altro Padre che lo abitano, copie esatte dei suoi veri genitori ma più amorevoli e perfetti, con dei bottoni a posto degli occhi. Dietro la porta, una visione edulcorata della propria vita che non corrisponde alla verità, ma ai desideri inconsci di una bambina che percepisce la mancanza di attenzioni da parte dei genitori come mancanza di amore. Ma dietro il paradiso può celarsi un inferno; il “sogno ad occhi aperti” di Coraline è un viaggio “attraverso lo specchio” in cui scopre l’altra faccia del reale. E così come una carrozza principesca può trasformarsi in zucca, o una casetta di marzapane in una trappola per ingenui, un caleidoscopio di colori e meraviglie può divenire un tetro e gelido incubo. Il prezzo da pagare per restare nel migliore dei mondi possibili è donare letteralmente il proprio sguardo, ovvero farsi strappare gli occhi e ricucirli con due bottoni. Anche qui il simbolismo è evidente, gli occhi sono lo specchio dell’anima: perderli equivale a perdere se stessi.

Chi li possiede, si appropria della nostra identità. Non a caso i tre malcapitati bambini spettri, caduti nel vicolo cieco dell’illusione, non hanno più memoria dei loro nomi perché non possiedono più i loro occhi. Coraline dovrà usare i suoi occhi e il suo coraggio per guardare “attraverso lo specchio”, riscoprire se stessa, ricucire (senza bottoni!) gli strappi affettivi con i genitori ed infine accettarli ed amarli per quello che sono. Li ritroverà, frapponendo tra lei e loro innumerevoli specchi per poi frantumarli, guardando attraverso una sfera di vetro innevata, perché nulla è come sembra. La realtà merita uno sguardo profondo e consapevole che va al di là delle apparenze. Henry Selick con questa fiaba gotica e postmoderna, strabordante di sfumature e suggestioni burtoniane ci regala un’affascinante avventura, destinata a restare viva nel tempo. Il “mondo capovolto” di Coraline ci insegna che il migliore dei mondi possibili non è quello perfetto, ma quello perfettibile che alimenta i nostri desideri e il nostro sguardo.

domenica 31 maggio 2009

A Cannes 2009 vince "il fascino dell’arte"


Trionfi e sconfitte della kermesse francese: Palma d’Oro ad Haneke per Il Nastro Bianco; Migliori attori Charlotte Gainsbourg in AntiChrist e Christopher Waltz in Inglourious Basterds; delusione per Campion, Loach, Bellocchio, Almodovar e Gilliam.
di Maria Cristina Locuratolo 31 maggio 2009 12:27

E’ calato il sipario anche su questa 62esima edizione del Festival di Cannes. La Palma d’Oro è andata al registra austriaco Michael Haneke e al suo Das Weiss Band, (Il Nastro Bianco) opera impegnata che riflette sul Male Assoluto, sui sintomi della violenza che da privata si fa sociale e politica. Sul film di Haneke, il Presidente di giuria, Isabelle Huppert spiega è «un film filosofico, un lungometraggio che dice cose importanti senza la volontà di trasmettere messaggi, ma solo per porre dei problemi».

Migliore prova attoriale quella di Christopher Waltz, altro artista austriaco che si fa interprete del Male oscuro in Inglourious Basterds di Quentin Tarantino, dove veste i panni di un ufficiale nazista, un malvagio sui generis, un cacciatore di ebrei poliglotta in un war movie with a vengeance che ci ricorda che il male, in questo caso il nazismo, va estirpato alla radice. Le storie vincitrici quest’anno a Cannes hanno, in un modo o nell’altro, rappresentato la realtà attraverso gli incubi ricorrenti della Storia e del nostro tempo: violenza, paura, degrado morale. E’ da intendersi in questo senso anche il Grand Prix a Un prophète di Jacques Audiard, film in cui un giovane arabo rinchiuso in un carcere francese si rende conto, a proprie spese, di come il male possa forgiare un’intera esistenza.

Premio a sorpresa per l’attrice Charlotte Gainsbourg, interprete del chiaccheratissimo (e fischiatissimo) AntiChrist di Lars Von Trier, accolto con irritazione da pubblico e critica, e per Alain Resnais, a cui è stato assegnato il Premio Speciale della giuria per Les Herbes Folles, che pure non ha destato entusiasmi, ma sopratutto per la sua mirabile carriera celebrata con una standing ovation. Il tema della violenza e della colpa ritornano in Kinatay, film che è valso un Premio come Miglior regista al filippino Brillante Mendoza, in cui una prostituta viene massacrata da un gruppo di poliziotti corrotti, generando nel più giovane di loro un conflitto che lo porta all’esasperazione, un rimorso che non trova espiazione. Il regista e attore turco Nuri Bilge Ceylan dice a proposito di Kinatay «È il film più potente e originale, anche dal punto di vista stilistico, che abbiamo visto». Premio della giuria per Thirst di Park Chan-Wook, Fish Tank di Andrea Arnold , mentre la miglior sceneggiatura è quella di Spring Fever di Lou Ye, scritta da Feng Mei.

Nessun riconoscimento per il romantico Bright Star di Jane Campion, intensa storia d’amore tra il poeta Keats e la sua bellissima Fanny, né per la straordinaria vicenda di Looking for Eric di Ken Loach, con il carismatico Eric Cantona. Delusione anche per il nostro Marco Bellocchio e il suo Vincere. Ci si aspettava forse un’accoglienza più calorosa per il geniale Almodóvar con Los Abrazos Rotos e per il visionario Terry Gilliam e il suo Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo che è stato più che altro l’occasione per omaggiare la memoria di Heath Ledger, qui alla sua ultima interpretazione. Entrare nel merito dei parametri di giudizio osservati dalla giuria francese è compito arduo, sopratutto se, come ha dichiarato la Huppert a proposito dei premi assegnati «Non ci sono stati certo criteri etici, ma casomai quelli della sorpresa, il fascino che si ha quando si incontra un’opera d’arte». E quel fascino segreto, sia esso dovuto all’insostenibile subordinazione al male rappresentato da Haneke, o agli squartamenti scioccanti di Kinatay, o ancora all’ombra oscura del nazismo di Inglourious Basterds, è la linfa vitale del cinema stesso, perché la Settima Arte rispecchiando il mondo ne crea uno nuovo, in cui l’uomo viene salvato e la Storia riscritta.

sabato 16 maggio 2009

Cannes 2009 punta sul grande cinema


La kermesse francese torna al suo periodo d’oro con artisti di fama mondiale e pellicole attesissimedal grande pubblico. Tarantino, Gilliam, Von Trier, Loach, Almodovar e tanti altri per celebrare la Settima Arte in pieno "ésprit de grandeur".
di Maria Cristina Locuratolo 16 maggio 2009 15:14

Apertura in grande stile per il 62esima Festival di Cannes 2009, come da tradizione per la kermesse internazionale più attesa dagli appassionati di cinema e dagli amanti del glamour e della mondanità. Film inaugurale è Up, pellicola in 3D della Pixar; padrino d’eccezione, Charlez Aznavour, una delle voci del cartoon nella versione francese. Inizia in modo sobrio la corsa alla “Palma d’oro” di questa edizione, con tanti palloncini colorati in onore del film buddy movie “pixariano”, in cui un burbero vecchietto instaura un’amicizia con un giovane boyscout, in viaggio in una casa trasportata da palloncini.

La presidentessa di giuria Isabelle Huppert menziona Fellini nel suo discorso di benvenuto e dice emozionata “ al cinema si va per ricordare, sognare e scoprire i segreti di quest’arte”. Insomma il “tocco” francese si nota tutto, nell’eleganza dei toni ma anche e sopratutto nelle scelte delle opere in mostra. Grandi nomi della scena cinematografica mondiale: Francis Ford Coppola che riscopre la sua vocazione per il cinema classico con Tetro, un film intimo e familiare, con uno sguardo al passato e uno al presente, diviso geograficamente tra Stati Uniti e Argentina e stilisticamente tra bianco e nero e colori; Lars Von Trier, con un horror che si preannuncia scioccante AntiChrist, interpretato da William Dafoe e Charlotte Gainsbourg, in cui si parte da una classica“haunted house” per arrivare ad esplorare l’inimmaginabile; Quentin Tarantino con l’attesissimo Inglorious Basterds, un film ad episodi che è un omaggio ai b-movie tanto cari al regista e che di sicuro non deluderà le aspettative dei numerosissimi fans del cineasta “pulp”; Ken Loach con Looking for Eric, una storia toccante di un postino malato e in piena crisi coniugale, sollevato solo dalla presenza di Eric Cantona , mito del calcio, che nel film interpreta se stesso; Alejandro Aménabar, il regista del capolavoro The Others, torna con Agora, ambientato nell’Egitto del IV secolo, verte attorno ai primi scontri di civiltà, tra cristiani e cultori degli antichi dèi, e alla vita di Ipazia, storica, matematica e filosofa greca, vittima di monaci fanatici e simbolo del libero pensiero.

E ancora, Elia Suleiman, regista palestinese tra i più apprezzati, racconta la storia dello Stato d’Israele dallo sua fondazione ad oggi in un film non strettamente politico dal titolo The time that remains; Chan- wook Park, regista coreano di Lady Vendetta e Old Boy, tenta di conquistare il pubblico internazionale con il suo Bak-Jwi, pellicola su un prete vampiro, che segue l’onda cinematografica del momento, con la riscoperta del mito di Dracula e tutte le (im)possibili variazioni sul tema; Ang Lee, autore molto amato a Venezia, ripropone l’evento più leggendario della storia del rock Taking Woodstock; Jane Campion che porta sul grande schermo la poesia di Keats con Bright Star, una meravigliosa storia d’amore tra il poeta inglese e la sua vicina di casa, Fannye Brawne; il “geniaccio” Pedro Almodovar con la sua ultima fatica Los Abrazos Rotos, un film di storie incrociate e di “abbracci rotti”, con la sua attrice feticcio Penelope Cruz (nella foto in alto), Premio Oscar meritatissimo per Vicky Cristina Barcelona; dulcis in fundo, Terry Gilliam, con l’ultimo film (incompleto) del compianto Heath Ledger, The Imaginarium of Doctor Parnassus; una favola mefistofelica che vede alternarsi i volti di Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell, i quali, grazie ad un espediente narrativo ideato ad hoc, sostituiscono Ledger, omaggiandone la memoria.

Unico titolo italiano della manifestazione francese è Vincere di Marco Bellocchio, pellicola che affronta il dibattito, più che mai attuale, sul sesso e il potere attraverso la storia della prima amante di Mussolini, madre di un figlio illegittimo del Duce, vittima sacrificale del regime fascista., mentre in giuria a rappresentarci è la conturbante Asia Argento.Cinema e musica formano un binomio perfetto a Cannes: sul red carpet , bagnato dalla pioggia, sfilano Lenny Kravitz e Mariah Carey, entrambi attori d’eccezione in Precious di Lee Daniels. Una Croisette ricca di emozioni che oltre a celebrare cineasti di fama mondiale, ha il grande merito di rappresentare cinematografie differenti, dall’Occidente all’Oriente, dal cinema classico a quello più sperimentale e visionario. Cannes 2009 si configura come un evento imperdibile che predilige la qualità e il talento, coniuga lo spettacolo all’arte, il glamour alla sobrietà. Un cinema che fa sognare, ricordare, e ci vela i segreti di quest’arte – direbbe la Huppert. Un cinema che cavalca il futuro sperimentando le nuove tecnologie, e si nutre di memoria, di quei film che hanno reso grande questa arte e riempito i nostri sguardi.

sabato 2 maggio 2009

Sogni di rock’n’roll


I ruggenti anni del rock britannico viaggiano sulle onde di navi pirata che trasmettono musica no-stop, suscitando l’entusiasmo della gente e il malcontento delle istituzioni. E’ quello che vuole raccontarci Richard Curtis, regista e sceneggiatore di I love Radio Rock, film dal cast stratosferico tutto sesso, droga e rock’n’roll.
di Maria Cristina Locuratolo 2 maggio 2009 18:31

Siamo alla fine dei mitici anni ’60, ovvero gli anni più straordinari per il pop britannico e sebbene all’epoca il canale “ufficiale”, la Bbc, trasmettesse solo due ore di rock and roll, altre radio dette “pirata” deliziavano i timpani e le giornate degli inglesi, rockettari nell’animo, trasmettendo da navi stravaganti nel freddo Mare del Nord, 24 ore su 24. E 25 milioni di persone, più della metà della popolazione britannica ascoltavano questi irriverenti pirati, le loro battute maniacali e un po’ troppo spinte, le loro fantasie e la musica, la grande musica.

Pochi sanno che queste radio con le loro trasmissioni “politically incorrect” hanno il merito di aver diffuso in modo capillare, raggiungendo ogni target di età, ceto sociale e genere della popolazione, pietre miliari della musica di tutti i tempi: dai Beatles e i Rolling Stones ai Kinks, passando per leggendari artisti come Jimmy Hendrix, Dusty Springfield, Aretha Franklin, Bob Dylan e Janis Joplin. Ebbene, questo è quello che vuole raccontarci Richard Curtis, regista e sceneggiatore di I love Radio Rock, film dal cast stratosferico (Philip Seymour Hoffmann, Rhyn Ifans, Bill Night, Nick Frost), tutto sesso, droga e rock’n’roll e anche molto altro. Una storia che parla di una generazione che andava a letto la sera con la radiolina a transistor sotto il cuscino, viaggiando sulle onde di questa musica sensazionale che non si sentiva da nessuna altra parte, se non sulle frequenze delle radio pirata.

Libertà, esuberanza giovanile, ma anche illegalità: queste stazioni radio erano state prese di mira dal governo britannico che vedeva la pirateria come una minaccia e si adoperò affinché le trasmissioni “non autorizzate” fossero soppresse. Al di là della sceneggiatura che trae spunto da fatti realmente accaduti, I love Radio Rock coinvolge lo spettatore per la caratterizzazione dei personaggi e i leit motive musicali che accompagnano la storia. Dietro i microfoni di Radio Rock si alternano uomini stra-ordinari, alcuni più talentosi di altri, tutti con nomi fumettistici, eccentrici nel vestire, nel muoversi o nel parlare, uomini fuori dagli schemi, controtendenza, decisamente non belli ma dalla forte personalità.

Al timone della Boat that Rocked (titolo originale del film) c’è un estroso personaggio detto il Conte interpretato da Hoffman, un americano grassoccio e molto schietto, che vive letteralmente di musica, al suo fianco c’è Frost nei panni di Dave, ironico, brillante e sarcastico; Simon (Chris O’Dowd) gentile, un po’ ingenuo e innamorato dell’amore; Midnight Mark (Tom Wisdom) misteriosa presenza silenziosa nella nave; Wee Small Hours Bcb (Ralph Brown) l’uomo col cervello più piccolo del mondo; On the Hour John (Will Adamsdale) addetto al notiziario; Angus the “Nut” Nutsford ( Rhys Darby) conosciuto come l’uomo più fastidioso d’Inghilterra. A completare il quadro dei deejay vagabondi arriva Carl (Tom Sturridge), un adolescente in crisi alla ricerca di suo padre e Gavin (Rhys Ifans), il più eclettico di tutti, un Jack Sparrow ante litteram con la stessa camminata alla Keith Richards, tornato dall’America per rivendicare il suo posto come migliore DJ della Gran Bretagna.

Insomma, una combriccola di “bad boys” creata ad hoc per far divertire e sognare sulle note di pezzi indimenticabili; un film allegro e nostalgico nel contempo che è innanzitutto una dichiarazione d’amore da parte di Curtis alla musica. A contrastare “l’allegra brigata” di pirati un eccezionale Kenneth Branagh nei panni di un grigio e dispotico Ministro Dormandy, uno di quei barbogi che alle nove di sera sorseggiano sherry seduti sul sofà, direbbe il Conte. Radio Rock ci rivela un segreto che in fondo conoscevamo già: la forza della musica non conosce divieti e restrizioni, non si può fermare, limitare, circoscrivere perché è una forza che si sprigiona e dà vita, speranza, un immediato senso di libertà e di infinito e, infatti, essa non muore mai, sa reinventarsi, va al passo coi tempi, parla all’uomo col suo linguaggio universale, accorcia le distanze e spesso guarisce i mali dell’anima, irrompendo nel silenzio, senza mai chiedere il permesso.

venerdì 3 aprile 2009

Ponyo sulla scogliera, un amore di pesciolina


Dal Giappone una nuova magia dal “cilindro” animato del maestro Miyazaki: l’incantevole tenera fiaba di una pesciolina che vuole diventare una bambina.
di Maria Cristina Locuratolo 3 aprile 2009 20:30

Il premio Oscar dell’animazione Hayao Miyazaki torna sul grande schermo con Ponyo sulla scogliera. Una fiaba che ha origine negli abissi marini , dalle cui profondità emerge una graziosa pesciolina rossa, Ponyo appunto, con il volto da bambina. Rimasta intrappolata in un barattolo di vetro viene liberata da un bimbo vero, Sosuke, e sarà amore al primo sguardo. Da quel momento la pesciolina lotterà per diventare un essere umano a tutti gli effetti, sconvolgendo i delicati equilibri tra la terra e il mare. E’ in realtà lo stesso Sosuke a dare il nome Ponyo alla pesciolina amata, che si chiama Brunilde, regalandole, così anche una nuova identità e una nuova vita. Una storia che conserva intatta la magia del cartoon tradizionale, settanta artisti hanno disegnato centosettanta mila disegni con la matita, e che si pone a metà tra le classiche fiabe tradizionali e quelle contemporanee. Ponyo, infatti, ha la tenerezza di Nemo e ricorda in modo impressionante la bimba svizzera Heidi (anche lì c’era la matita del maestro Miyazaki ), coetanea della pesciolina umana.

La piccola protagonista ha il viso paffuto, gli occhioni grandi e i capelli fluenti di un rosso corallo che rimandano a due archetipi, uno orientale, l’altro occidentale: Anna dai capelli rossi, cartone “storico” della Nippon Animation in cui figura lo stesso Hayao, e La Sirenetta, classico cartoon Disney tratto da una fiaba di Andersen. Ponyo, quindi, si configura come l’anello di congiunzione tra i manga nipponici e i cartoni occidentali, mentre nel film stesso congiunge la terra e il mare, l’uomo e la natura. Miyazaki è un poeta dell’immagine e dell’immaginazione; egli crea un universo in armonia con la natura, attraverso la quale l’uomo può protendersi verso una dimensione più “alta”, spirituale, che concilia gli opposti e ristabilisce gli equilibri. Creature mitologiche e ultraterrene che prendono vita dalla variegata mitologia giapponese popolano il microcosmo fantastico di Miyazaky; in Ponyo troviamo, ad esempio, la Dea del Mare, una sorta di Nettuno al femminile, incredibilmente bella e possente, dai capelli di un rosso vivido, genitrice generosa e comprensiva che sceglie per i suoi figli la via della libertà e dell’amore. La presenza di scenari suggestivi, di una cultura “altra” così lontana dalla nostra, arricchiscono le storie animate di un fascino esotico, irresistibile agli occhi dello spettatore di qualsiasi età.

Il desiderio di Ponyo di diventare umana come il suo caro Sosuke, apre una voragine tra il mare e la terra, generando uno tsunami di proporzioni epiche, ma l’amore vero ed assoluto del bimbo per la pesciolina (e viceversa) riesce a creare una “liason” tra i due universi, concessa dalla Madre del Mare, la divinità marina per eccellenza e mamma della pesciolina. L’amore incondizionato, il rispetto per la natura, per i bambini e per gli anziani, la capacità di accogliere “l’altro” nella nostra vita sono le tematiche, profonde come gli abissi marini, che il regista sa tracciare con la sua prodigiosa matita, con delicatezza e passione. Miyazaky restituisce allo sguardo dello spettatore tutto lo stupore infantile, la primordiale innocenza e la gioia della scoperta. Un incanto ad “occhi aperti” in grado di risvegliare in ognuno il fanciullo che è dentro di noi, bimbo o pesce che sia.